I Quruli, rock band giapponese a Napoli con Daniele Sepe per «Palummella»

Al lavoro all'Auditorium Novecento

I Quruli e la band di Daniele Sepe a Napoli
I Quruli e la band di Daniele Sepe a Napoli
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Sabato 27 Aprile 2024, 06:57 - Ultimo agg. 28 Aprile, 09:43
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In giapponese «Palummella» non l’avevamo mai sentita, e sì che non sono poche le canzoni napoletane classiche tradotte nella lingua del Sol Levante, dove la amano forse più che da noi, e di sicuro la studiano più di noi con «‘O sole mio», «Santa Lucia», «Torna a Surriento» e «Funiculì funiculà» nei testi delle scuole medie. Ma qui ci si allontana dai superclassici, si guarda indietro nel tempo, con un brano popolare e anonimo di fine del XIX secolo. All’Auditorium Novecento, già sede della Phonotype, prima casa discografica d’Italia per data di nascita (e pronta a tornare in azione, ma ne riparleremo con calma), la intona nella sua lingua con amore e rispetto Shigeru Kishida, mentre al mixer c’è Piero De Asmundis, pregiato tastierista del giro di Daniele Sepe. E alla produzione c’è proprio il sassofonista militante, il compositore provocautore, l’atlante musicale combattente della scena newpolitana, il capitan Capitone del suono non allineato.


È in sala di registrazione con i Quruli, band di Tokyo dalle sonorità difficili da definire: nata nel 1996 in zona punk e dintorni, hanno al loro attivo un album prodotto da Jim O’Rourke e rappresentano un punto importante di riferimento nella scena alt rock nipponica.

Ma che cosa c’entrano con Sepe e perché stanno registrando una loro versione di «Palummella» memore della valenza politica che trovò prima per gli esuli della Repubblica Partenopea, poi nei moti del 1820-1 e del 1848, quindi nella guerra civile contro il regno d’Italia e l’Unità?

«Tutto è cominciato nel 2004, quando in un negozio di cd, allora ce n’erano più di adesso, trovai un disco di Daniele, “Jurnateri”, di cui mi innamorai. Da quel momento cercai di sapere qualcosa di più di questo eclettico musicista», dice Kushida, «citandolo spesso come un esempio a chi ci intervistava in radio». «Quando mi hanno contattato ero sorpreso, volevano che andassi da loro a Tokyo, ma con il mio pessimo inglese mi sarei sentito perso», continua l’uomo di «Vite perdite»: «Così ho ascoltato le loro cose, ho capito che eravamo in qualche modo fratelli di musica, e li ho invitati a venire loro qui. Sono partiti da suoni inglesi, che ricordano i Beatles come gli Xtc, hanno fatto colonne sonore per cartoni animati, si sono mossi sul fronte orchestrale. Frank Zappa è il nostro trait d’union, l’amore comune».

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Zappiana, in qualche modo, è la sonorità dell’altro brano, una rilettura originale di un tradizionale giapponese, nato dalle session dei giorni scorsi, tra mandolini veraci ed echi di Fab Four. Tutta sepiana è la marcia a cui le tammorre conducono «Palummella», guardando a «Bandiera rossa», a «Bella ciao», senza mai tradire le radici del brano.

Daniele, Shigeru Kishida, Masashi Satō e gli altri Quruli in missione partenopea hanno diviso giorni e notti suonando, scoprendosi a vicenda, «ma anche mangiando e bevendo. Gli ho mostrato una Napoli lontana dal turistificio imperante, gli ho suggerito l’esperienza di Procida, mentre ci raccontavamo amori comuni come quelli per Pat Metheny e Jaco Pastorius. Veniamo da tradizioni differenti, la lingua ci divide, ma la musica no, se dico G minor, il nostro Sol minore, sappiamo tutti che cosa fare, abbiamo la stessa lingua», continua Sepe.

Ad unirli, sorride il leader dei Quruli, «è stata anche la cucina, con la musica è un’altra cosa che amiamo molto dell’Italia e di Napoli in particolare. Io mi sento come uno strumento, quando vado in un luogo provo ad assorbirne la cultura, i suoni, i sapori, i profumi, le emozioni che mi trasmettono le persone che incontro... E, poi, come uno strumento, mi accordo». La versione nipponica di «Palummella» è frutto di una full immersion di questo tipo: «Ora vedremo come e quando pubblicarla».

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