Steve Hackett a San Leucio: «Noi Genesis dobbiamo ringraziare la Vanoni»

In concerto la rilettura del mitico Foxtrot del 1972

Steve Hackett
Steve Hackett
di Andrea Spinelli
Domenica 9 Luglio 2023, 13:12
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La prima volta in regione è stata con i Genesis nel '74 a Napoli, sul palco del teatro Mediterraneo, poi il rapporto di Steve Hackett col pubblico campano è continuato nei decenni passando dal Parco Virgiliano come dalla pineta di Afragola. Domani il chitarrista di Pimlico, 73 anni, porta il suo «Genesis Revisited Foxtrot at fifty + Hackett highlights» al belvedere di San Leucio, accompagnato dalle tastiere di Roger King, dalla ritmica di Craig Blundell, dai fiati di Rob Townsend e dal basso di Jonas Reingold. Al microfono Nad Sylvan. «John Lennon dichiarò che i Genesis erano una delle band più interessanti in circolazione per l'"englishness" che riuscivano a mettere nella loro musica», ricorda oggi il chitarrista: «Non ho mai capito esattamente cosa intendesse dire, ma quelle parole si trasformarono per noi in un bel biglietto da visita».
Focalizza il meglio della sua produzione solista nella prima parte dello spettacolo per poi passare all'esecuzione integrale di «Foxtrot» nella seconda.

Con quale reazione?
«Ottima direi.

Ho lavorato con cura sui suoni e mi piace l'idea di renderli ogni sera migliori di quella prima. Preparando lo spettacolo mi sono reso conto, infatti, che le canzoni di quel disco del 1972 col passare del tempo suonano sempre meglio. Questo grazie alla buona scrittura e a quella vena di romanticismo capace di sedurre oggi come cinquant'anni fa, due caratteristiche che gli hanno permesso di mantenersi vive nei ricordi della gente».

Questo tour rappresenta un po' il punto d'arrivo di un periodo frenetico per lei.
«Effettivamente, penso che questi ultimi due siano stati gli anni più impegnativi della mia carriera. Prima ho pubblicato il live del tour di "Selling England by the pound" registrato nel 2019 all'Hammersmith Eventim Apollo. Poi sono arrivati l'album acustico "Under a mediterranean sky" e, durante il lockdown, "Surrender of silence". Non avendo la valigia sul letto come mi capita di solito, ho avuto tempo pure di finire, e pubblicare, l'autobiografia A Genesis in my bed».

Tornando a quel 1972, inserendo nella seconda facciata di «Foxtrot» una suite di oltre 22 minuti vi accollaste una bella responsabilità.
«Sì e ancora oggi "Supper's ready" riserva sorprese. Anche se allora c'era Peter Gabriel lì davanti coi suoi travestimenti, era un brano corale, ricco di pathos e perfino d'umorismo. Tutti elementi che manteniamo in questa nostra rivisitazione».

Che ricordi ha deI primi tour italiani, quelli del '72-'73?
«L'Italia fu il primo paese fuori dal Regno Unito a credere in noi, ma non so esattamente cosa abbia dato il via a questa ondata d'interesse. Ricordo, però, una cover italiana dei primi Genesis, quelli di "Trespass". Si trattava di "White mountain", un pezzo scritto da Anthony Phillips nel '70, l'anno prima che mi unissi alla band, rielaborato da Claudio Rocchi per la splendida voce di Ornella Vanoni».

Il pezzo s'intitolava «Un gioco senza età» e stava nell'album omonimo dato alle stampe nel 1972.
«Era una reinterpretazione molto bella che, forse, rendeva la canzone anche un po' più accettabile dal punto di vista commerciale, offrendone una versione che avresti potuto ascoltare pure su un palcoscenico lontano dalla nostra musica come quello dell'Eurovision. Sì, penso che Ornella Vanoni abbia contribuito a spianarci la strada».

Poi arrivarono i concerti.
«Grazie al promoter Maurizio Salvadori a primavera del 1972 sbarcammo in Italia col tour di "Nursery crime" stupiti dell'accoglienza che trovavamo ovunque andassimo. Debuttammo ad Adria, vicino Rovigo, ma le immagini più nitide che ho in mente sono quelle del concerto al palasport di Reggio Emilia, dove saremmo tornati pure nei due anni successivi sempre immersi nei ricordi di quella prima sera».

Nella discografia dei Genesis ci sono una quindicina di album in studio, ma il pubblico italiano rimane legato soprattutto ai primi sei.
«Penso che quei dischi fossero così pieni di storie da assomigliare a mini opere e quindi in qualche modo vicini alla grande tradizione del melodramma italiano; questo unito ad un altro elemento di classicità quale il romanticismo dei miti greci che entra in alcune delle canzoni come "The fountain of Salmacis". Probabilmente è stato quel legame greco-romano il valore aggiunto delle nostre canzoni qui da voi. Penso che i Genesis siano stati molto bravi a lavorare all'interno di qualcosa che fosse un ibrido tra la forma classica e il rock».

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