Tony Esposito compie 70 anni: «Ma il mio ritmo non ha età»

Tony Esposito compie 70 anni: «Ma il mio ritmo non ha età»
di Federico Vacalebre
Venerdì 17 Luglio 2020, 09:11
4 Minuti di Lettura
Del contingente del neapolitan power, oltre a rappresentare il colore ritmico dove il motore era Tullio De Piscopo - era il più bello, l'eterno ragazzo, il sex symbol post-hippy. Parliamo di Antonio Esposito, in arte Tony, che l'altro giorno ha compiuto 70 anni.

Non ci si crede, Tony. Ma davvero hai 70 anni?
«Sì, li ho anche festeggiati, giusto con un brindisi. I 70 anni ci sono, ma non so dove, la testa è quella dell'eterno bambino di sempre, il corpo si difende. Comunque è un traguardo, no, esserci arrivati nelle mie condizioni? E qualcosa, insomma, l'ho fatta».

Più d'una, a rileggere i nomi a cui hai prestato tamburi e padelle nella tua carriera: Pino Daniele, Francesco De Gregori, Gino Paoli, Roberto Vecchioni, Francesco Guccini, Billy Cobham, Don Cherry, Paul Buckmaster, Don Moye, Gato Barbieri, Eumir Deodato, Brian Auger, Gilberto Gil, Naná Vasconcelos...
«E Lucio Dalla, e il Lucio Battisti di «Anima latina», ad esempio: sono stato fortunato: erano anni di cantautori e chitarristi, uno che suonava tamburi e padelle finiva per servire a tutti».

Ma qualche incontro è stato più speciale degli altri.
«Come no? Il supergruppo con Pino Daniele nasce da un nostro incontro. Willy David mi disse di questo ragazzo che gli sembrava bravo, io ero già un nomino in locandina, e Pino mi fece da supporter per 3-4 concerti. Non mi accorsi nemmeno di lui, concentrato su me stesso come ero allora. Poi capii che cosa valeva e finimmo per incrociare i miei timbales con il suo scat verace. Poi Willy disse che dovevamo costruire attorno a noi un dream team. Lui suggerì Tullio De Piscopo, Daniele volle James Senese, che in qualche modo era stato il suo mentore musicale, poi arrivarono gli altri e....».

E venne una stagione straordinaria, quel 19 settembre 1981 in piazza del Plebiscito che resta nella memoria collettiva come il primo scudetto del Napoli, poi la rottura del supergruppo e...
«La banda riformata del 2008 per Ricomincio da 30. Anche in quel caso ricominciammo noi due: eravamo sempre rimasti in ottimi rapporti, ma mi chiamò e mi disse che voleva ritrovarci tutti ma, prima, suonammo solo lui, io e Alfredo Paixao al basso per quasi due anni. Doveva riavvicinarsi alle sue radici, forse trovare una pacificazione con se stessi prima che con tutti gli altri del supergruppo. Mi diceva sempre: Io ti capisco a te. Mi voleva bene, gli voglio bene come a un pezzo importante della mia vita».

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«Rosso napoletano», «Processione sul mare» e «Gente distratta» ti imposero negli anni Settanta come uno dei talenti più originali del jazz rock italiano, poi, però, arrivò «Kalimba de luna».
«Il motivetto era nato a casa di Joe Amoruso a Boscotrecase, il solito David intravedendone le potenzialità volle che lo arrangiasse Mauro Malavasi, quando il brano divenne una hit quasi non me ne capacitavo: vinse il «Disco per l'estate», mi promosse frontman io che sempre mi ero nascosto tra percussioni e musicisti. Arrivò il successo, la notorietà, fu fantastico, ma anche una dannazione: ero nel pieno fervore artistico, per due anni rimasi su quel suono, tra playback e comparsate tv».

Anche perché erano arrivati i Boney M. a «rubarti» il tuo pezzo.
«Da star della disco music ne compresero meglio di me la portata e ne fecero una cover in inglese. E io dovetti spiegare a tutti che era mia, che non ero io a riprendere un pezzo dei Boney M. ma loro che ne traducevano uno mio».

Insomma, festeggi senza amarcord, ma ricordi bene tutto. Che cosa, soprattutto?
«Ma le esperienze più importanti: la mia infanzia è scorsa lenta, poi negli anni Settanta il film è stato velocissimo: Musica Nova ma anche Edoardo Bennato con cui ho cominciato, la Banda del Sole, Alan Sorrenti...».

Con Alan hai inciso i suoi storici primi lp.
«L'ho convinto io a trasferirsi a Roma. Suonava in una cantina del Vomero, i suoi gorgheggi quasi femminili mi piacevano assai. Partimmo, eravamo cric e croc, ricordo il Festival della gioventù proletaria del 1975 a Licola: c'era tutta la nuova Italia che suonava, lui fu contestato aspramente, fischiatissimo. Ma rimase fermo e vinse lui, sino a meritare gli applausi».

E dopo i 70 anni?
«Ancora tamburi, la mia worl music e i concerti con Enzo Avitabile: oggi lui è il più ispirato di tutti noi».
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