Toto Cutugno morto, addio all'Italiano vero

Scontroso perché timido, record di presenze a Sanremo

Toto Cutugno e Pippo Baudo
Toto Cutugno e Pippo Baudo
di Federico Vacalebre
Mercoledì 23 Agosto 2023, 09:11
6 Minuti di Lettura

Ha ragione, come (quasi) sempre, Baudo: «Era troppo timido, tanto da sembrare scontroso». Il grande timido e scontroso Toto Cutugno se n'è andato ieri, all'ospedale San Raffaele di Milano, dopo una lunghissima battaglia con un cancro alla prostata. Il 7 luglio aveva compiuto 80 anni, celebrati da nessuno.

L'uomo di Tendola, frazione di Fosdinovo, in provincia di Massa-Carrara, verrà ricordato come «l'italiano vero», eppure è stato presenza atipica nel panorama nazionale, tanto da essere stato amato forse più in Francia che a casa sua, autore di successo per Michel Sardou («Unchantan»), Joe Dassin («Et si tu n'existais pas», poi ripresa da Iggy Pop), Johnny Hallyday, Dalida, Claude François, Hervé Vilard, Mireille Mathieu, Sheila.

Melodista di classe e paroliere furbo, fu iniziato alla musica dal padre, suonatore di tromba nella banda in cui lui cominciò come tamburino, prima di passare alla batteria per giocare poi con i complessi: Toto e i Rockers, Ghigo e i Goghi, Toto e i Tati, gli Albatros, con cui arrivò per la prima volta al Festival della canzone italiana, terzo con «Volo AZ504». Sanremo è stato per lui la terra promessa e negata: tra i recordman di presenze (15 volte in gara), l'ha vinto una volta, nel 1980 con «Solo noi», collezionando poi sei secondi posti, un terzo posto, un quarto posto, senza contare il podio raggiunto più volte da autore.

Da solista sfondò nel 1977 con «Donna donna mia», sigla di «Scommettiamo?» con Mike Bongiorno, nello stesso anno scrisse per Celentano «Soli», che impazzò in classifica.

Tra i tanti brani proposti al Molleggiato c'era anche «L'italiano», canzone ricca di stereotipi, tanto da reggere l'urto dei tempi, ed avere ragione di ogni critica, e di far piangere di nostalgia i connazionali all'estero: «con gli spaghetti al dente/ e un partigiano come presidente... buongiorno Italia con i tuoi artisti/ con troppa America sui manifesti/ con le canzoni, con amore/ con il cuore/ con più donne e sempre meno suore...».

Poi quel grido identitario, passato alla storia della nostra canzone(tta) nonostante il quinto posto (ma primo nei voti popolari del Totip) nel Sanremo 1983 che vide vincere «Sarà quel che sarà» della meteora Tiziana Rivale: «Lasciatemi cantare/ con la chitarra in mano./ Lasciatemi cantare/ una canzone piano piano./ Lasciatemi cantare/ perché ne sono fiero/ sono un italiano/ un italiano vero». Un «italiano nero», la riscriverà anni dopo Simone Cristicchi, a raccontare la nuova nazione multikulturale. «Io e Popi Minellono scrivemmo quel pezzo per i titoli di coda del film "Il bisbetico domato", ma Adriano disse no, preferendogli, "Innamorato, incavolato a vita"», ricordava Toto, felice di quel no. E il paroliere Minellono con lui: «Ho scritto un testo che è un ritratto di tutti noi, ma non è sole, pizza e mandolino, ci sono i difetti, le abitudini, l'ipocrisia di chi tiene la bandiera in tintoria e la tira fuori al momento opportuno. Un inno con un po' di patriottismo, ma senza accenni politici. De Andrè mi definì un anarchico individualista».

Collaborando soprattutto con Pallavicini e, appunto, Minellono, Cutugno ha scritto «Noi, ragazzi di oggi» per Louis Miguel, «Il sognatore» per Peppino Di Capri, «Io amo» per Fausto Leali, «O0lympic games» per Miguel Bosè. Conosceva i suoi limiti, ma non accettava «le critiche di chi non mi conosce. Sono un ragioniere, se fossi stato più colto avrei scritto come Fossati, Conte e De Gregori: li adoro, li invidio, ma non si può avere tutto dalla vita».

Come a dire: a me Sanremo, a loro il Premio Tenco. Credeva di avere il Festival in tasca nel 1988, ma fu surclassato dal Massimo Ranieri inarrestabile di «Perdere l'amore», e poi di nuovo nel 1990, con «Gli amori» e un piccolo grande aiuto da Ray Charles, che stravolse la sua canzone nel testo e gli accordi, ma non la incise mai: secondo anche quella volta, a bloccargli la strada i Pooh di «Uomini soli». Si consolò con Penelope Cruz, che la canticchiò nel film di Castellitto «Non ti muovere». E con la successiva vittoria all'Eurovision con «Insieme: 1992». Nel 1995 il peggior piazzamento all'Ariston, diciassettesimo su venti con «Voglio andare a vivere in campagna», non epocale, ma entrata nell'immaginario comune.

Video

Intanto le ex repubbliche sovietiche lo eleggevano a idolo, con Pupo, i Ricchi e Poveri ed Al Bano: «Grazie al Pci il Festival era trasmesso in Urss quando tutta l'altra musica era proibita come imperialista. Si innamorarono della nostra canzone, nell'Est postcomunista la star più ricercata era Celentano, ma lui non faceva più concerti e io cantavo qualcuno dei pezzi scritti per lui: nacque così una lunga storia d'amore», ricordava. Iniziò a frequentare più la Russia, che il Belpaese, concedendosi come conduttore televisivo («Domenica in», «Piacere Raiuno») e tornando a Sanremo appena possibile, anche come ospite, storica l'apparizione del 2013, con il coro dell'ex Armata Rossa a cui fece intonare «L'italiano» e «Nel blu dipinto di blu».

Nel 2007 l'inizio della battaglia contro il tumore, nel 2019 finì in una lista di proscrizione: un gruppo di deputati ucraini chiese di metterlo al bando, bollato come «un agente di appoggio della guerra della Russia». «Io non so per chi votare alle prossime elezioni in Italia, figurarsi se mi importa chi governa nelle ex repubbliche sovietiche: da quelle parti mi chiamano da quando c'era l'Urss, e non ero comunista, mi chiamano oggi e non appoggio nessuno. Putin? L'ho visto una sola volta, perché ero stato invitato a cantare al Cremlino e l'ho salutato, è capitato che gli abbia fatto gli auguri per un compleanno, poi... basta. Sono apolitico, finora mi hanno accusato per questo... Ho cantato per tutti, belli e brutti, rossi e neri, alti e corti. E ora... Lasciatemi cantare con la chitarra in mano: lasciatemi cantare sono un italiano, un italiano vero». Ora tutti glielo riconoscono, tra le condoglianze arrivano quelle della premier Meloni, del ministro Sangiuliano, di Amadeus.

Ps. Toto impazziva per la canzone napoletana classica, una volta fece intonare «'O sole mio» all'allora presidente kazaco Nazarbaev. E nel 1987 scrisse «Napoli», dichiarazione d'amore, sia pur poco ispirata, eseguita in coppia con Fausto Leali a «Un disco per l'estate».

© RIPRODUZIONE RISERVATA