Capuano: «Porto Totò e Peppino nel mondo di Beckett»

Il ritorno al teatro del maestro di Paolo Sorrentino

Capuano: «Porto Totò e Peppino nel mondo di Beckett»
di Luciano Giannini
Mercoledì 16 Novembre 2022, 12:15
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«Totò sentiva parlare spesso di un certo Beckett: Fatemi leggere qualcosa. E gli portarono Finale di partita. Lo terminò sul set. Richiuse il libro e disse: Mi si confà. So che portò il testo in scena. Ignoro se fu fedele all'originale o lo cambiò. Lui e Peppino erano, comunque, il cieco Hamm e il suo servo Clov, i due personaggi che danno vita alla pièce, ma non ho trovato tracce né della sala in cui debuttarono né del periodo». Strano, ma sarà vero? «La mia fonte è attendibile», precisa con smorfia convinta. E poi: «Perciò, mi ha intrigato l'idea di scrivere io una drammaturgia; di re-inventare quello spettacolo perduto, immaginando la celebre coppia alle prese con il teatro dell'assurdo».
Decano del cinema napoletano; maestro dichiarato del Paolo Sorrentino di «È stata la mano di Dio»; scenografo; docente; regista (da «Vito e gli altri», del 1991, a «Il buco in testa», del 2020), drammaturgo («Medea», «Otto pezzi inutili») David di Donatello alla carriera 2022, Antonio Capuano torna dopo 17 anni al Mercadante, palcoscenico principale del Teatro di Napoli Teatro nazionale, qui in veste di produttore. Il suo «T&P. Totò e Peppino», sottotitolo «omaggio a Samuel Beckett» debutterà stasera con repliche fino al 27 novembre.

Roberto Del Gaudio, anima dei Virtuosi di San Martino, sarà Totò. Capuano: «Mi chiedevo: e mo a chi... c...zo lo faccio fare? Poi sono andato a vedere Totò, che tragedia, di quel signore là (e indica Roberto) e mi sono detto: è lui!». Carlo Maria Todini, nipote di Leo Brandi, invece, avrà la maschera di Peppino De Filippo. Le musiche sono di Federico Odling, che dei Virtuosi è parte altrettanto integrante, in veste di compositore e violoncellista.
Le 82 candeline che si presume abbia spento il 4 aprile scorso non hanno intaccato la vitalità anticonvenzionale - anzi ribelle - di Capuano, e una esuberante originalità.

L'incontro stampa, ieri mattina nel foyer dello Stabile, ha virato verso una sorta di spettacolare improvvisazione senza regole, culminata nel duetto con l'ironico quanto professorale Del Gaudio. Nella scenografia che evoca un basso napoletano, ma come l'avrebbe immaginato Beckett, con un vecchio televisore sempre accesso, che disturba i personaggi, si snoda una non-storia, una drammaturgia che - spiega il regista - «è un collage di tanti autori e poeti da me amati, anche se, poi, la responsabilità delle battute e dei versi scelti è soltanto mia». Quali poeti? «Mah, Leopardi... tanti, tanti... io leggo tanta poesia». Ovviamente, «c'è anche Beckett, soprattutto quello dei romanzi, come L'innominabile e Malone muore». E «Finale di partita»? «Non l'avevo nemmeno sulla scrivania mentre scrivevo; ma, lo sapete, certe opere, lette e rilette, le portiamo dentro di noi anche quando andiamo a spasso».

E Del Gaudio? In «Totò, che tragedia» era un Principe gioioso in stile varietà-avanspettacolo. E qui, Roberto? «Prevale la malinconia». «Quella dei clown», precisa Capuano. Siamo su un altro registro, il suo. Del Gaudio: «Antonio concede ampia libertà agli attori, purché si faccia quel che dice lui». E il regista: «Io so ciò che pretendo da loro, ma vorrei anche che si sentissero liberi... ecco, devi dar loro lo spunto, per farli volare». Comunque, poche storie, «Beckett è pervaso dalla malinconia. Esattamente come Totò. Coppia perfetta. Il Principe è assurdo, paradossale, astratto, lunare. E assieme a Peppino il miracolo si compie. Ma fossero andati davvero sulla Luna quei due?».
Insomma, «T&P» sarà uno spettacolo «molto beckettiano e anche molto tototiano. Un felicissimo incontro. E... e ho detto tutto».

«Dialogheremo come facevano loro nei film», puntualizza il laconico Todini. C'è una differenza cruciale, però, tra il geniaccio napoletano e il Nobel irlandese. Del Gaudio: «In scena riproponiamo il rapporto tra padrone e servo, Hamm e Clov, entrambi dipendenti l'uno dall'altro. Beckett denuncia il piacere dell'uomo di essere schiavo; Totò e Peppino, però, non ci stanno. Si ribellano contro l'ossessione all'obbedienza. Ecco perché Antonio dice che spesso il pubblico è spento, inerte, morto». E lui, Capuano: «È vero. Vorrei un teatro fatto per i vivi». E giunge a teorizzare: «Uno spettacolo bisognerebbe disturbarlo, se si sente la necessità»; ma qualcuno precisa: «Non con i telefonini, però». «Sì, hai ragione, i telefonini a teatro no».

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