Dal calcio al taekwondo: così l'Italia
è tornata a dare del tu alla gloria

Dal calcio al taekwondo: così l'Italia è tornata a dare del tu alla gloria
di Pino Taormina
Lunedì 2 Agosto 2021, 08:00 - Ultimo agg. 19:19
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Ora sono seduti nel Pantheon, tra quelli che non scenderanno più dal trono. Né domani, né mai. L'estate in cui dal calcio all'atletica, l'Italia è tornata a dare del tu alla gloria. Jacobs e Tamberi sono nella storia, come gli azzurri di Mancini ma anche come Berrettini capace di salire fin alla finale di Wimbledon. Il vento di Marcell, il volo di Gimbo, i pugni di Irma, il servizio di Matteo, il tiro a giro di Lorenzo, le manone di Gigio: nel il giorno più grande dello sport italiano ci godiamo l'estate dei nostri trionfi. In attesa di Sibilio e dei suoi 400 metri, ma anche della nazionale di basket e pure quella di volley. Londra e Tokyo: l'Olimpo è qui. 

Siamo arrivati a questa estate soffocati dal solito peso di un mondo che sembra saper fare tutto meglio di noi: correre, saltare, lanciare, calciare, colpire di dritto e rovescio. E invece no, il calcio, l'atletica, il tennis sono tornati a essere anche i nostri sport. Lo sono di nuovo. Ci eravamo stancati di applaudire sempre e soltanto i grandi avversari (bello il tiki-taka della Spagna o la solidità della Germania), non era possibile che i più belli, i vincenti, abitassero sempre da un'altra parte: Jacobs ha detto che non devi essere della Giamaica o dagli Stati Uniti o dal Canada per essere l'uomo più veloce del mondo, Tamberi che si può saltare più in alto nel cielo senza nascere a Cuba, in Svezia o chissà dove. L'atletica italiana diventa il nostro orgoglio, come da epoche geologiche non succedeva. Dieci minuti memorabili, come i record di Mennea o quella di Sara Simeoni o come l'oro di Cova a Los Angeles o di Berruti a Roma. Ma di cosa parliamo? Era da troppo tempo uno sport malandato, malsano, incerto. Roba da briciole. Uno sport con poche medaglie, pochi primati, pochissime eccellenze. E invece riecco il nostro orgoglio: l'Italia faceva festa solo grazie a Valentino Rossi o ai monologhi della Ferrari: e invece no, questa è l'estate in cui abbiamo messo tutto sottosopra.

Ha iniziato Roberto Mancini a farci smettere di essere preda degli altri: ma quale quarto di finale o chissà cosa, volevamo essere primi a Wembley e l'11 luglio siamo tornati a esserlo, comandando il gioco in modo aggressivo e vincente. Prendendoci l'Europa. 

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Sono sempre le Olimpiadi degli altri sport. Medaglie uniche, belle. Come l'oro di Dell'Auqila ma soprattutto quelle conquistate da Irma Testa o da Rodini e Cesarini: mai nessuna donna vi era riuscito prima di loro nel nostro Paese. La finale dei 100 metri ai Giochi è la finale delle finali dell'Olimpiade, perché tutti ricordano gli occhi spiritati di Ben Johnson, le gambe di Carl Lewis, le smorfie di quella saetta di Usain Bolt ai blocchi di partenza nelle notti olimpiche. Per decenni il raggiungimento di una finale era diventato l'unico orizzonte di gloria possibile. D'altronde, anche nel tennis da anni ci accontentiamo e solo adesso con Berrettini e Sinner (che delusione il loro forfait olimpico) l'Italia sogna anche di conquistare i trofei. Due ori in dieci minuti: in questa estate dannata del Covid abbiamo scoperto che questo è un Paese che vince e che non abbassa la testa. L'atletica ce lo fa riscoprire, lo sport che non ha mai regalato gioie se non nelle lunghe distanze, perché in pista sapevamo di non avere speranze. Non è più così. Vince un sistema, un modo culturale. L'Italia di questa straordinaria estate che non è ancora finita (vero Sibilio? Vero Italbasket? Vero Italvolley? Vero Settebello?) mostra la sua grande mentalità, è finalmente capace di essere prima, di affermare la sua diversità sportiva. Non siamo più dietro, non siamo più lontani. Era l'ora.

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