Sabbie nobili, la Dakar nel deserto d'Arabia: l'elettrico sfida l'impossibile

La Q RS e-tron fra le dune del deserto
La Q RS e-tron fra le dune del deserto
di Giorgio Ursicino
Venerdì 17 Dicembre 2021, 08:34 - Ultimo agg. 22 Dicembre, 15:39
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Il conto alla rovescia è già iniziato. Fra meno di un mese, il primo giorno del prossimo anno, scatterà la corsa automobilistica più avventurosa, lunga è dura dell’intero calendario internazionale. Una di quelle competizioni che valgono più di tutto il Campionato di cui fanno parte. Per prendersi la rivincita, infatti, è necessario aspettare un anno. Nel mondo del motorsport pochi altri eventi hanno lo stesso carisma. Soltanto le secolari 24 Ore di Le Mans e 500 Miglia di Indianapolis, possono vantare un fascino simile alla mitica Dakar. Un tempo, dagli ultimi anni Settanta alla fine dello scorso secolo, era nota come Parigi-Dakar perché univa il sacro e al profano. All’alba del nuovo anno, dopo aver brindato a champagne, si partiva dalla chic città delle mille luci per affrontare un’avventura più nel tempo che nello spazio. Non tutti sanno, infatti, che basta attraversare il Mediterraneo e dall’altra parte c’è il deserto del Sahara. Una distesa molto più vasta dell’Europa, illibata come un paradiso, ma pronta a trasformarsi nell’inferno se qualcosa non va per il verso giusto.

Il fascino dell’ignoto, la potenza della natura, l’insicurezza dell’uomo di fronte a tanta maestosità. L’idea del geniale Therry Sabine, che ha sacrificato la vita al suo amato deserto, fu subito un successo, tutti pronti ad imboccare la via di Dakar più per le emozioni che per la fama. Col tempo la Dakar ha cambiato casa non rinunciando mai al nome. Troppo rischioso continuare in Africa. Ai pericoli del percorso si aggiungevano infatti quelli delle mille guerriglie da attraversare. Fantasmi armati di Kalashnikov comparivano dal nulla e nel nulla si volatizzavano, dopo aver sparso terrore e, a volte, morte. La Dakar è emigrata in Sud America per più di un decennio e poi, forse attratta dai petrodollari, nella un tempo blindata Arabia Saudita diventata in un lampo la nuova Mecca del Motorsport. Cambiano i deserti, rimane intatto il fascino. Anzi le dune da scalare diventano sempre più alte per mettere freno ai tecnologici prototipi di oggi, indistruttibili come l’acciaio e veloci come il vento.

Quest’anno l’atmosfera si fa ancora più elettrizzante perché prenderà parte alla sfida l’Audi, un marchio la cui sportività merita rispetto poiché a qualsiasi competizione abbia partecipato, poi nulla è più stato come prima.

Uno spartiacque epocale. Tutto viene travolto dall’insaziabile voglia di cambiamento che i Quattro Anelli portano con se. L’istinto della modernità, attraverso l’innovazione e l’“avanguardia della tecnica”. Cosa potevano inventarsi i geniacci di Ingolstadt in piena transizione ecologica? Una nave del deserto che si muove solo grazie ai motori elettrici ed apre una nuova strada per la mobilità. Statene certi, fra qualche anno le vetture della Dakar saranno tutte ad elettroni poiché le foto dei primi test effettuati in Marocco mostrano attraverso la loro dinamicità che un veicolo a batterie ha una marcia in più anche nei percorsi più impervi.

La vittoria è a portata di mano? Non scherziamo. Nessuno alla Dakar può essere sicuro del trionfo, tanto meno una creatura molto sofisticata finita di montare solo 5 mesi fa. C’è un incognita che si chiama affidabilità è che è pronta a fare lo sgambetto ad una principessa mai vista prima. Nel ruolo di “Defender” c’è poi un gran “brutto” cliente, il pick up Hilux voluto da Akio Toyoda in persona che schiera uno squadrone di quattro vetture pronte a incrociare la spada con le Q RS e-tron bavaresi affidate ad un vero dream team. Contro i monumenti Peterhansel e Sainz con le Audi i giapponesi di Toyota schierano il principe-samurai del Qatar Nasser Al-Attiyah. Nasser è un tipo che non scherza (in gara, per il resto è una persona affabilissima) che, oltre ad aver conquistato tre Dakar (l’ultima proprio per i colori di Nagoya) ha preso parte a 5 Olimpiadi vincendo pure una medaglia ad Atene nel 2004.

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