«Scommesse e Calciopoli:
quei miei trent'anni di processi»

«Scommesse e Calciopoli: quei miei trent'anni di processi»
di Francesco De Luca
Mercoledì 18 Maggio 2022, 07:00 - Ultimo agg. 17:35
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Domani nella biblioteca di Castel Capuano ritroverà l'amico con cui condivise un'estate di fuoco. L'avvocato Alfredo Mensiteri è stato il vicario di Stefano Palazzi, capo della Procura della Figc. Rappresentarono l'accusa nel processo sportivo ai club, ai vertici della Federazione e agli arbitri al termine dell'inchiesta Calciopoli della Procura della Repubblica di Napoli. Un convegno sulla giustizia sportiva riunisce Palazzi e Mensitieri, entrato in questo mondo nel 1977, come giudice della Disciplinare della Figc. «Era stato mio padre Giuseppe ad avvicinarmi al calcio e in particolare al mondo arbitrale». Immaginarsi l'imbarazzo quando, nella primavera del 2006, lesse gli atti sugli arbitri che facevano parte della Cupola. «Ma sugli arbitri e sulla loro correttezza non ho cambiato mai giudizio». Un'indagine impegnativa, un processo ancor di più. «C'era un forte senso di angoscia di fronte alle società più importanti d'Italia. Una situazione molto complessa: la Federcalcio era stata commissariata dopo le dimissioni del presidente Carraro». Giorni e notti per un intero mese a leggere con Palazzi quegli atti e a preparare le richieste di condanna, agenti della Digos a presidiare gli uffici e l'albergo degli inquirenti. «Ma vi furono solo sporadiche contestazioni: le tifoserie capirono». 

Mensitieri - 81 anni, la passione per la giustizia sportiva trasmessa alla figlia Nathalie, che cura i corsi di diritto sportivo per l'Ordine degli avvocati di Napoli - ha vissuto, da giudice della Disciplinare prima e da procuratore federale poi, tutti gli scandali. Iniziò nel 1980 con la bomba del calcioscommesse. «Non mi piacque il blitz di magistrati e polizia, con i calciatori arrestati sui campi. Mi colpì in quel processo la superficialità dei giocatori. Tra essi c'era Paolo Rossi, ragazzo di poche parole. Ci raccontò la sua verità, quasi mi dispiacque quando venne riconosciuto colpevole». Pablito venne sottoposto a un altro processo dopo la squalifica perché aveva offeso i giudici della Disciplinare: se la sospensione non fosse stata tramutata in ammenda non avrebbe potuto partecipare al Mondiale dell'82. «E quanto esultai per lui. Nel 2006, durante la finale Italia-Francia, la felicità era mista all'amarezza del processo che stava per cominciare: un uomo di sport soffre in queste situazioni». Vi furono polemiche sull'inchiesta dei magistrati napoletani. «Moggi disse che vi erano faldoni che riguardavano altri club e altri dirigenti? Noi esaminammo quelli che ci mise a disposizione la Procura della Repubblica».
Sei anni prima, invece, vi era stata Passaportopoli, che Mensitieri visse da giudice sportivo.

Documenti dei calciatori extracomunitari taroccati dai club, eppure non vi furono le retrocessioni perché la Procura federale non si spinse fino a tal punto. «Fu dopo il 2006, quando finì il commissariamento, che vi fu una svolta con il presidente Abete che prese a cuore il nostro lavoro. Io mi attivai affinché vi fossero anche colleghi che potessero seguire con attenzione le vicende finanziarie dei club». Abbondavano le plusvalenze fittizie, cominciavano i fallimenti, tra cui quello del Napoli. «Com'è la situazione oggi? Credo che i calciatori siano controllati di più dalle società e che sulle scommesse vi sia un notevole monitoraggio. Per quanto riguarda i grumi di potere, si dissolvono e si ricompongono». Mensitieri, quando era giudice della Disciplinare, seguì anche le vicende del Napoli. «Valutai anche il caso di Alemao a Bergamo nel 1990. L'arbitro dichiarò che era stato colpito dalla moneta e in base al regolamento scattò la vittoria del Napoli a tavolino. Che a me non piacque perché per un uomo di sport esiste soltanto la vittoria sul campo. La norma poco dopo cambiò». 

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