Napoli, Cosmi: «Ecco perché è difficile sostituire Spalletti nella testa dei giocatori»

Serse prese il posto di Luciano a Udine 18 anni fa

Serse Cosmi
Serse Cosmi
di Bruno Majorano
Venerdì 29 Settembre 2023, 09:54 - Ultimo agg. 18:22
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Stagione 2005-2006, l'Udinese cambia allenatore e al posto di Luciano Spalletti, che per la prima volta ha portato la squadra ai preliminari di Champions League, arriva Serse Cosmi. Un tuffo in un mondo che fino al giorno prima aveva un unico punto di riferimento: Spalletti. Un po' come è accaduto quest'anno a Napoli, con il passaggio dall'attuale ct a Rudi Garcia.

Che impatto vi fu a Udine?
«Basti pensare che lo Spalletti del 2005 era già un allenatore importante e in più in quell'annata aveva centrato il migliore piazzamento della storia del club».

Quindi?
«Ho trovato un gruppo di giocatori molti legati ai metodi di Spalletti e ammetto che qualche difficoltà l'ho avuta».

Ovvero?
«Luciano, un grande allenatore, aveva i suoi metodi di lavoro e ovviamente i calciatori erano anche un po' abituati a quello».

E lei?
«Per fortuna siamo partiti subito con la qualificazione in Champions e questo ha aiutato.

Non c'è niente da fare: quando hai i risultati dalla tua parte diventa tutto più facile e poi io sapevo a cosa andavo incontro. A Perugia avevo presto il posto di un mostro sacro come Carlo Mazzone».

Ebbe difficoltà?
«Non come a Palermo, presi il posto di Delio Rossi. Lì la squadra e l'ambiente erano molto legati all'allenatore e fu una missione quasi impossibile».

Un po' come quella di Garcia oggi a Napoli?
«Garcia è stato "ucciso" prima ancora di arrivare. C'erano milioni di dubbi su di lui. Non si sono aspettati nemmeno i suoi errori. Lui sbagliava a prescindere».

Lei che approccio aveva avuto a Udine?
«Ho sempre dato un valore relativo a quello che raccontavano gli altri. Gli allenatori lasciano una scia che dipende da chi la racconta. Per me è stata una responsabilità molto grande, anche perché abbiamo due filosofie molto diverse».

Cosa dicevano i giocatori?
«Parlavano già di un allenatore molto attento a determinate cose, bravo in campo a insegnare e trasmettere le sue idee. Quando condividi dei successi con l'allenatore è normale che ti entrano dentro».

Cosa deve fare l'allenatore che arriva in un contesto del genere?
«Tu pensi solo a fare il tuo lavoro. Fai riferimento a chi ti ha preceduto, ma senza pensare troppo a che tipo di eredità vai a raccogliere. Se hai carattere e personalità fai quello che hai sempre fatto. Non imporre ma comunicare le tue idee ai calciatori e alla dirigenza. Ogni allenatore è diverso».

Quale è la difficoltà maggiore?
«Se quello che proponi non è supportato e sostenuto subito da risultati, il tuo lavoro viene incosciantemente messo in discussione. I calciatori si pongono delle domande. Se questo processo scatta nella testa dei tifosi non è positivo, ma se scatta in quella dei giocatori diventa un problema. Ma è un qualcosa di inconscio: non puoi prevenirlo o frenarlo».

E ora che Napoli ha visto?
«La partita con l'Udinese ha dimostrato che le cose stanno cambiando».

Perché?
«I giocatori hanno fatto i giocatori ovvero quello che hanno fatto sempre nell'arco dell'anno scorso. Con la prestazione hanno dato ragione alle idee e rafforzato la figura di Garcia. Se il Napoli fa il Napoli è ancora la migliore squadra del campionato. Ma per farlo deve mettersi a tavola con fame e non a pancia piena. Mercoledì sera mi è sembrata una squadra vorace».

Domani sfida una delle rilevazioni del campionato: il Lecce che lei conosce bene.
«Mi ha fatto un'impressione positiva. Ma non mi sorprende. Perché è una società intelligente e sana: un binomio che vale tanto nel calcio. Ci sono persone che sanno scegliere: dal presidente a Corvino che prende giocatori sconosciuti ai più ma che poi vanno in campo e fanno la differenza. E poi c'è D'Aversa in panchina che aveva una grandissima voglia di rivalsa. Hanno giocato molto sull'aspetto psicologico. Ero allo stadio a vedere Lecce-Genoa: si respirava un'atmosfera meravigliosa».

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