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Stanchezza digitale social, la malattia del nostro tempo colpisce soprattutto i giovani

«La stanchezza digitale social merita la giusta attenzion»

Giovani e social media
Giovani e social media
di Clara Lacorte
Articolo riservato agli abbonati premium
giovedì 11 aprile 2024, 15:12
5 Minuti di Lettura

Ogni aspetto della vita umana oggi è caratterizzata dalla presenza della tecnologia, a partire dai dispositivi che quotidianamente si utilizzano per connettersi al mondo del web fino ad arrivare agli indispensabili social network. Il nostro tempo, dunque, è stato più volte definito come «iperconnesso». È impensabile immaginare di trascorrere una giornata senza accendere il proprio personal computer o senza dare uno sguardo al mondo virtuale di Instagram e Facebook. Gli anni della pandemia da Covid-19 hanno poi ulteriormente contribuito a rendere necessario l’utilizzo della tecnologia per le più svariate attività, perfino per seguire una lezione universitaria o partecipare ad una riunione di lavoro.  

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C’è però una conseguenza, di cui poco si parla, causata dall’eccessiva esposizione al mondo tecnologico. Si tratta del cosiddetto fenomeno della «stanchezza digitale», con il quale si intende la stanchezza visiva causata dalla lunga e prolungata esposizione agli schermi di computer, iPad e cellulari.   «Con l’espressione stanchezza digitale ci riferiamo ad una forma di affaticamento da video e dall’interazione con lo stesso. Tutto nasce da una ricerca dell’autunno del 2023 pubblicata da Scientific Reports. Si tratta di una ricerca americana che parla di affaticamento da videoconferenza, in particolare è stato analizzato il comportamento, attraverso un elettrocardiogramma ed elettroencefalogramma, di un campione di persone e dei dati prodotti dal post videoconferenza. La presenza di affaticamento di tipo biologico, a seguito di tale studio, è risultata evidente. Vi è, quindi, una stanchezza biologica, clinica.

Allo stato attuale sette aziende su dieci utilizzano sistemi di videoconferenza per riunione, presentazioni e call», spiega Michelangelo Iossa, giornalista, scrittore e docente presso il corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. I danni, a livello clinico, riscontrati dalla forte esposizione visiva di schermi sono molto significativi ed importanti. Tutti noi almeno una volta nella vita nello svolgere un’attività lavorativa o di studio, tramite dispositivo elettronico, ci siamo sentiti stanchi e frustrati. Questa condizione, in alcuni soggetti, può addirittura tramutarsi in un disturbo di tipo neuronale e causare problemi ben più gravi.  

Dalla stanchezza digitale di tipo, potremmo dire, fisico si genera un’ulteriore stanchezza che interessa però la sfera psicologica e mentale. Si tratta della stanchezza digitale social, ovvero quella sensazione di oppressione che si può avvertire nel momento in cui si pensano e si utilizzano i social network. Se inizialmente, infatti, i social media rappresentavano un luogo di «aggregazione», seppur virtuale, con altre persone con le quali scambiare contenuti di ogni tipo, commenti e approvazione, oggi per molti individui non è altro che un luogo di competizione, comparazione con la vita degli altri e continuo senso di insoddisfazione ed ansia. I social media, dunque, ad oggi si configurano più come un luogo anti-sociale, che come un strumento per sentirsi parte di una realtà virtuale ben più ampia e stimolante.

Tale stanchezza può senza dubbio essere attribuita alla capacità dei social di «promettere e proiettare immagini patinate, anche il confronto con i nostri contatti social che mostrano foto di vacanze e sorrisi, ci fanno pensare all’esistenza di un mondo ovattato. Il confronto con questa realtà fittizia genera stanchezza mentale, emotiva», chiarisce Michelangelo Iossa evidenziando una netta distinzione tra la stanchezza digitale clinica e la stanchezza digitale data dall’utilizzo dei social network.

L’elemento ancora più importante, necessario per inquadrare il fenomeno della stanchezza digitale social, risiede nel ruolo differente che l’utente ricopre oggi rispetto al passato. Fino a qualche anno addietro, l’utente fruiva dei social media in maniera quasi totalmente attiva attraverso la condivisione di contenuti e l’interazione costante con altri utenti. Oggi molte cose sono cambiate, l'utente è diventato sostanzialmente passivo. La sua interazione con il social media si configura attraverso il cosiddetto «scrolling» e la creazione di profili dai contenuti vuoti e sterili.

Video

Tale risultato è dovuto, a mio avviso, principalmente da due fattori fondamentali: da un lato la crescita esponenziale della pubblicità (prima praticamente assente) ha reso stressante e noiosa la visione dei contenuti, continuamente interrotti da promozioni di brand; dall’altro lato i social media, soprattutto Instagram, sono diventati sempre più una vetrina per influencer e professionisti della comunicazione, togliendo così spazio ai contenuti più semplici.

Tale stanchezza, spiega Michelangelo Iossa, «influisce maggiormente sui giovani, nella fascia tra gli undici ai diciannove anni usano il cellulare dalle tre alle sei ore quotidianamente. I ragazzi, dunque, di confrontano con mondi spesso finti dove non c’è interattività ma solo passitività. Ciò genera una stanchezza emotiva», la quale può complicare anche i rapporti con i propri coetanei nella realtà. Sentirsi costantemente in paragone e confronto con gli altri può determinare, soprattutto nella Generazione Z, la nascita di un senso di inadeguatezza rispetto alla vita che si vive. Ci sono però delle importanti soluzioni messe in pratica già da molte realtà, le quali consentono, in un certo senso, di disintossicarsi dall’iperconnessione che si vive quotidianamente. Come spiega Michelangelo Iossa, «Stanno aumentando le cosiddette ‘mental wellness’, ovvero le oasi del benessere mentale le quali stanno proliferando in tutto il mondo. In Italia ci sono già delle oasi dedicate al benessere mentale, grazie al quale ci si prende una pausa dai cellulari e da tutto ciò che è social».  

Dunque, nonostante si stia lavorando per aiutare le persone ad essere fruitori consapevoli e non abusatori dei social media, le difficoltà di gestire il mondo iperconnesso in cui viviamo sono tante ed hanno un peso nella vita di tutti noi. «La stanchezza digitale e la stanchezza social merita attenzione, il confronto con le realtà patinate non fa mai bene in quanto è la proposta di un mondo finto» conclude Michelangelo Iossa.  

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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