Povertà, la Caritas: «In Irpinia la metà dei residenti vive sotto la soglia»

Pubblicato il rapporto triennale 2020/2022

La mensa dei poveri
La mensa dei poveri
di Rossella Fierro
Domenica 10 Dicembre 2023, 10:42
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È un'Irpinia sempre più affamata quella fotografata dal Rapporto triennale 2020/22 curato dall'Osservatorio sulle povertà e le risorse della Caritas diocesana di Avellino. Nella provincia con un tasso di disoccupazione attestato al 14%, la metà dei contribuenti vive con un reddito al di sotto della soglia di povertà. I numeri parlano chiaro: dei 263.308 contribuenti censiti dal Mef, la metà ha dichiarato nel 2022 un reddito familiare inferiore ai 15mila euro all'anno. Povertà reddituale che, chiarisce il rapporto, in un'area interna come l'Irpinia non si ferma ai soli aspetti economici ma riguarda anche la carenza di servizi essenziali che non consente di riconoscere chi è in condizioni di bisogno da chi non lo è, con la conseguenza che il fenomeno non emerge in tutta la sua ampiezza. Sono 965 le persone che lo scorso anno si sono rivolte ai 7 centri di ascolto della Caritas irpina. Di questi 541 italiani, per la maggior parte donne. Numeri ancora più elevati se si considerano, anche per effetto dell'accoglienza dei cittadini ucraini fuggiti dalla guerra, i cosiddetti nuovi ingressi pari a 407 unità.

Considerando poi che alle spalle di ognuna di queste persone c'è un nucleo familiare, si calcola che vivono in condizioni di povertà almeno altre 2156 persone. Povertà crescente, anche tra chi ha un lavoro, che è trasversale sia per età che per nazionalità: tra gli italiani il 20% di quelli che si rivolgono ai punti di ascolto sono anziani, il 14% sono giovani tra i 18 e i 39 anni di età, il restante 66% è composto da persone dai 40 ai 64 anni. Cifre dietro le quali ci sono persone in carne ed ossa, con le loro storie, bisogni, sogni. Ed è proprio pensando a loro che Carlo Mele, direttore della Caritas, lancia l'ennesimo grido d'allarme: «Il rischio sempre più concreto è che l'Irpinia diventi un deserto.

Da anni chiediamo alla politica di prendere consapevolezza di uno scenario che va affrontato in maniera strutturale, non solo quando ci sono risorse da spendere come nel caso del Pnrr. Va ribaltata la logica: partire dai bisogni reali, quindi dall'ascolto dei territori, per sviluppare politiche di integrazione. Invece, a volte, è come se sentire parlare di poveri per alcuni sia quasi un fastidio».

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Durissima la critica all'organizzazione dei servizi sociali, in particolare ad Avellino. Mele non usa giri di parole: «I servizi istituzionali ai cittadini non ci sono, manca l'attenzione degli enti a creare sinergia con Chiesa e terzo settore. In città, purtroppo, la nostra mensa e il nostro dormitorio sono gli unici presidi proprio perché non esiste una rete dove ognuno fa la sua parte. Le istituzioni non possono abdicare né fallire rispetto alle loro responsabilità». A fargli eco il sociologo Mario Antignani, curatore del rapporto che avverte: «Preoccupa l'aumento dei nuovi poveri ma, in un certo senso ancora di più, il consolidarsi delle condizioni di chi lo è già da tempo. Questo genera una cultura della rassegnazione, quindi, anche la difficoltà a trovare forze e risorse per uscire da una vita di indigenza. Nei centri di ascolto della provincia di Avellino in media si affacciano 600 persone all'anno, dietro le quali ci sono famiglie. Se aggiungiamo anche coloro che si rivolgono alle singole parrocchie, che non rientrano nei dati analizzati dal report, possiamo immaginare che i dati sono di gran lunga maggiori. Lo scorso anno abbiamo assistito anche 300 minori. Quest'anno anche i bambini sono raddoppiati, forse per effetto dell'accoglienza dei cittadini ucraini fuggiti dalla guerra, ma resta il fatto che questo è un problema serio che coinvolge tutta la comunità. Quando parliamo di minori parliamo di scuola, sanità, servizi sociali, solidarietà. Non c'è più quell'idea di Stato che ti accompagnava dalla culla alla tomba, ma di fronte ad un lavoro sempre più povero, sottopagato e sfruttato, va quantomeno garantita la sussidiarietà orizzontale prevista dalla Costituzione». 

 

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