San Leucio e l'altra Caserta: «Subito un marchio San Leucio doc»

Convegno al Belvedere verso il rilancio

Il convegno “L'altra Caserta, San Leucio: declino e rilancio”
Il convegno “L'altra Caserta, San Leucio: declino e rilancio”
di Antonio Pastore
Domenica 17 Dicembre 2023, 10:30
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Un viaggio nel passato e, nello stesso tempo, un confronto sul possibile futuro: due giorni fitti di poderose analisi storiche, di excursus su vicende ancora calde di sentimenti (e risentimenti), provocazioni e spunti per nuovi progetti: è stato questo il convegno “L'altra Caserta, San Leucio: declino e rilancio”, stesso titolo del libro di Massimo Alois pubblicato dalla Spring Edizioni, che si è tenuto venerdì e ieri al Belvedere. Tre sessioni di lavoro moderate da Tommaso Tartaglione e dai giornalisti Luigi Ferraiuolo e Nando Santonastaso. Mettere insieme memoria e produzione, puntare su formazione e innovazione, più un nuovo marchio doc e tanto coraggio. Una ricetta declinata via via dai vari interventi e supportata da un esempio come quello del museo della seta di Como, il più importate d'Italia, che il direttore Paolo Aquillini ha illustrato con cifre e immagini. Immagini come quelle del filmato in b/n del 1949 (Istituto Luce) della mostra di “Damaschi e sete” alla Reggia di Caserta, e subito dopo con il documentario a colori del 1952 delle fabbriche seriche sul lago di Como. Per un museo non più statico ma dinamico, fruibile da utenze diverse, sensibile alle nuove tecnologie e all'inclusione. Non si parte da zero, come ha tenuto a precisare Carlo Marino, made in Puccianiello, e quindi leuciano minore: dell'originario programma collegato al restauro, «tre destinazioni - museo, formazione e convegnistica - sono state rispettate, e in particolare per la parte didattica valgono il progetto Officina con l'università Vanvitellli e il primo corso Its frequentato da 20 allievi tutti già occupati». 

Il percorso però è ancora lungo e nessuno se lo nasconde. L'antefatto, da Ferdinando IV al secondo dopoguerra, lo hanno raccontato con resoconti rigorosi, Maria Carmela Schisani, Ornella Zerlenga, Ezia Cioffi, Gerardo Cringoli, Felicio Corvese, Fosca Pizzaroni e Nicola De Ianni. Subito dopo è arrivata l'analisi delle trasformazioni del territorio, e le dolenti note, elencate dagli architetti Giancarlo Pignataro e Raffaele Cutillo.

Se il primo ha esposto le caratteristiche di borghi, lavoro e comunità, il secondo, che è anche autore delle tre mappe a colori che corredano il volume di Alois, indaga sulle modificazioni del paesaggio in ragione della presenza del comparto serico, fino alla contemporaneità dove c'è l'appiattimento verso la sola destinazione residenziale con l'illusione di una salvezza affidata al turismo.

L'assessore alla cultura del capoluogo Enzo Battarra invece spiega il ruolo dell'Istituto d'arte di San Leucio, nato nel 1962, prof come Luca Castellano e Donzelli, fucina della neoavanguardia casertana e di artisti tipo Sparaco, de Core, Del Vecchio, Marino e Del Giudice; a cui seguirono i Tariello, Tagilafierro e Ventriglia. Ma è dopo l'amarcord di Antonio Pascale e le rapide precisazioni di Paola Broccoli, Daniela Bianchi e Battista Marello, che vengono fuori i nodi finora irrisolti. Se il segretario Cgil Michele Colamonici e il direttore di Frammenti Giuseppe Venditto ripercorrono gli anni di fuoco delle lotte operaie e gli accordi all'avanguardia che però non fecero scuola, toccherà a due esponenti delle famiglie più importanti della seta, Alois e De Negri, cantare il mea culpa per le aggregazioni sfumate per micidiali beghe interne. Senza scampo il lucidissimo j'accuse di Gustavo Ascione, che passa in rassegna la politica familistica delle aziende dominanti, e l'incapacità di valorizzare il capitale umano. Ascione invita a non sprecare altro tempo: contro la concorrenza spietata e i falsi va varato subito un marchio San Leucio con un disciplinare chiaro, legato al territorio e aperto a tutti coloro che si adeguano ad esso. Con tessuti identificabili e tracciabili. 

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