Un viaggio nel passato e, nello stesso tempo, un confronto sul possibile futuro: due giorni fitti di poderose analisi storiche, di excursus su vicende ancora calde di sentimenti (e risentimenti), provocazioni e spunti per nuovi progetti: è stato questo il convegno “L'altra Caserta, San Leucio: declino e rilancio”, stesso titolo del libro di Massimo Alois pubblicato dalla Spring Edizioni, che si è tenuto venerdì e ieri al Belvedere. Tre sessioni di lavoro moderate da Tommaso Tartaglione e dai giornalisti Luigi Ferraiuolo e Nando Santonastaso. Mettere insieme memoria e produzione, puntare su formazione e innovazione, più un nuovo marchio doc e tanto coraggio. Una ricetta declinata via via dai vari interventi e supportata da un esempio come quello del museo della seta di Como, il più importate d'Italia, che il direttore Paolo Aquillini ha illustrato con cifre e immagini. Immagini come quelle del filmato in b/n del 1949 (Istituto Luce) della mostra di “Damaschi e sete” alla Reggia di Caserta, e subito dopo con il documentario a colori del 1952 delle fabbriche seriche sul lago di Como. Per un museo non più statico ma dinamico, fruibile da utenze diverse, sensibile alle nuove tecnologie e all'inclusione. Non si parte da zero, come ha tenuto a precisare Carlo Marino, made in Puccianiello, e quindi leuciano minore: dell'originario programma collegato al restauro, «tre destinazioni - museo, formazione e convegnistica - sono state rispettate, e in particolare per la parte didattica valgono il progetto Officina con l'università Vanvitellli e il primo corso Its frequentato da 20 allievi tutti già occupati».
Il percorso però è ancora lungo e nessuno se lo nasconde. L'antefatto, da Ferdinando IV al secondo dopoguerra, lo hanno raccontato con resoconti rigorosi, Maria Carmela Schisani, Ornella Zerlenga, Ezia Cioffi, Gerardo Cringoli, Felicio Corvese, Fosca Pizzaroni e Nicola De Ianni. Subito dopo è arrivata l'analisi delle trasformazioni del territorio, e le dolenti note, elencate dagli architetti Giancarlo Pignataro e Raffaele Cutillo.
L'assessore alla cultura del capoluogo Enzo Battarra invece spiega il ruolo dell'Istituto d'arte di San Leucio, nato nel 1962, prof come Luca Castellano e Donzelli, fucina della neoavanguardia casertana e di artisti tipo Sparaco, de Core, Del Vecchio, Marino e Del Giudice; a cui seguirono i Tariello, Tagilafierro e Ventriglia. Ma è dopo l'amarcord di Antonio Pascale e le rapide precisazioni di Paola Broccoli, Daniela Bianchi e Battista Marello, che vengono fuori i nodi finora irrisolti. Se il segretario Cgil Michele Colamonici e il direttore di Frammenti Giuseppe Venditto ripercorrono gli anni di fuoco delle lotte operaie e gli accordi all'avanguardia che però non fecero scuola, toccherà a due esponenti delle famiglie più importanti della seta, Alois e De Negri, cantare il mea culpa per le aggregazioni sfumate per micidiali beghe interne. Senza scampo il lucidissimo j'accuse di Gustavo Ascione, che passa in rassegna la politica familistica delle aziende dominanti, e l'incapacità di valorizzare il capitale umano. Ascione invita a non sprecare altro tempo: contro la concorrenza spietata e i falsi va varato subito un marchio San Leucio con un disciplinare chiaro, legato al territorio e aperto a tutti coloro che si adeguano ad esso. Con tessuti identificabili e tracciabili.