Mariano Bàino, Di bistorte lune: una partita a scacchi con boxe

Il tentativo di tratteggiare un'unica personalità che evolve in quattro stati diversi

Mariano Bàino
Mariano Bàino
di Ugo Cundari
Giovedì 7 Marzo 2024, 07:00 - Ultimo agg. 8 Marzo, 07:41
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Partita di scacchi. Due giocatori muovono le loro pedine alla ricerca, ognuno, della mossa decisiva. Hanno poco tempo. Quattro minuti e si alzano in piedi, uno tira un gancio, l'altro schiva e sferra un montante. Tre minuti e, se nessuno va knock out, si torna alla scacchiera. Niente di strano, stanno partecipando a una partita di chessboxing, scacchipugilato, sport che combina le due discipline e del quale si organizza, dal 2003, anche un campionato mondiale. Il protagonista del primo dei quattro racconti di Di bistorte lune (Galaad, pagine 102, euro 10) di Mariano Bàino, classe 1953, poeta e scrittore partenopeo, dopo aver combattuto diversi incontri di chessboxing adesso si è inventato uno sport tutto suo, stavolta unendo il go e il kendo. Il go è un gioco da tavolo di strategia, inventato in Cina più di duemila anni fa in cui lo scopo è conquistare più territorio dell'avversario occupando lo spazio vuoto con delle pedine. Il kendo è un'arte marziale giapponese con le spade. Di qualunque tipo sia la sfida, che si muovano pedine o si colpisca con armi, l'importante, suggerisce l'autore, è «lasciar vivere l'avversario, non è necessario schiacciare nessuno, colpire con pietà, avere in considerazione la cortesia e l'onore, promuovere la pace».

Negli altri racconti conosciamo un allevatore che in dialetto milanese celebra la sua venerazione per il maiale, e le vicissitudini lavorative di un povero cristo napoletano.

Emigrato a Milano per fare il saldatore ha avuto un esaurimento nervoso ed è tornato a Napoli dove prima ha lavorato come operaio addetto alla pulizia del soffitto della galleria Vittoria, poi come raccoglitore di urine di donna utilizzate da una azienda per scopi di ricerca. Adesso pare stia meglio anche perché il suo vecchio amore, una prostituta, si è fidanzata con un suo amico che aveva chiamato a Milano per aiutarlo a superare l'esaurimento.

Chiude la raccolta una lettera immaginaria della figlia di James Joyce, Lucia, a Sabina Spielrein, paziente e poi amante di Jung, infine lei stessa psicanalista. «Non si sono mai conosciute. Ma hanno avuto comune destino di sacrificio della propria personalità a figure maschili». La Joyce con un flusso di coscienza ininterrotto confessa di essere diventata pazza. 

Cosa hanno in comune i quattro protagonisti? Niente, a prima vista, tutto se interpretiamo il lavoro di Bàino come il tentativo di tratteggiare un'unica personalità che evolve in quattro stati diversi. Prima pensa di condizionare il mondo inventandolo, poi avverte il trauma della consapevolezza che il mondo gira con regole sue, poi si chiude in sé stesso utilizzando una forma di comunicazione per pochi, infine cede alla follia, e attraverso frasi e parole a prima vista scomposte, realizza che l'unica salvezza è nell'amore folle che sradica ogni pretesa di identità definita una volta per tutte. «Il tuo seno bellissimo l'ho succhiato amato proprio fisicamente occhi chiusi occhi aperti non c'è una conclusione, c'è molto ma non c'è una conclusione». 

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