Tony Laudadio dà forma alla solitudine

È la possibilità di riconciliarsi con il mondo che Laudadio consegna in un romanzo di bella e a tratti commovente intensità

Tony Laudadio
Tony Laudadio
di Generoso Picone
Mercoledì 13 Marzo 2024, 07:00 - Ultimo agg. 14 Marzo, 07:21
4 Minuti di Lettura

«Ho costruito un castello di sabbia sulla spiaggia e dentro ci ho messo il re e la regina, la corte, il buffone e i servitori. Tutti dentro il mio castello, con ponte levatoio e tutto. E appena ho finito di costruirlo mi sono già scocciato di giocarci. L'ho lasciato lì, inutile. E mi sono messo a guardare, dall'alto della mia enormità. Occhi aperti, cuore in alta marea». Andrea sta per compiere 18 anni, è in coma, intrappolato nel suo corpo ma con la mente che continua a macinare. Il suo letto, la sua stanzetta nella clinica per lungodegenti, la sua immagine di postumo a se stesso costituiscono il cardine di una vicenda complessa, in equilibrio tra i toni del dramma psicologico e le impennate della commedia umana, che Tony Laudadio racconta in Elaborate forme della solitudine.

Attore e autore di teatro e cinema formatosi alla “Bottega” di Vittorio Gassman per poi collaborare con Toni Servillo, Nanni Moretti e Paolo Sorrentino, in parallelo narratore già con un consistente numero di titoli, Laudadio ritorna qui su quello che potrebbe rilevarsi un suo topos letterario distintivo: cioè lo stato alterato della coscienza del personaggio come condizione di estrema efficacia per osservare il fluire degli eventi, osservarli da un punto di vista esterno e alto, misurarli nella parabola alta del loro compiersi, svolgere insomma le funzioni di guida onnisciente.

Era già capitato in L'uomo che non riusciva a morire, testo del 2015 dove il protagonista subiva la perdita progressiva delle proprie energie e registrava contemporaneamente le reazioni che ciò provocava su moglie, genitori, parenti, medici e infermieri, entrando e uscendo dalla vita per cinque volte e andando così ad abitare uno spazio intermedio, quasi di purgatoriale normalità.

Ora, in Elaborate forme di solitudine, è Andrea a svolgere un ruolo simile seppur dai tratti accentuati, tanto da fargli confessare a se stesso: «Cioè, non è che voglio dire che ci credo, però ecco, nel caso ci fosse un dio e quel dio fossi io, mi seguite?, farei esattamente quello che fa lui: cioè, me ne starei affacciato alla finestra a guardare tutto quello che succede».

Il dispositivo narrativo che Laudadio predispone gli consente di far ruotare intorno al corpo intubato del ragazzo, nella struttura sanitaria di una città della splendida reggia soffocata dalle brutture edilizia che è la sua Caserta, una scena mobile di azioni, smottamenti e rivelazioni. Ondeggiano sul sospiro cantato di Etta James in «At last», brano che attraversa le pagine e conferisce alla storia congegnata nell'intreccio perfetto di percorsi all'apparenza spaiati una sorta di orizzonte di senso collettivo. «At last», finalmente: l'ansia di conquistare il termine dei giorni dell'isolamento.

Le forme della solitudine sono quelle di Luana Costa, la bella e ancora piacente vedova madre di Andrea. Di Gipo Magni, l'architetto la cui unica pausa di serenità è nello scrutare le vite degli altri, cercando la forza di decifrare ciò che è scritto nell'autobiografia dell'anziano nonno, ricoverato nella stessa struttura dove Luana si reca quotidianamente. L'accompagna Gabriella De Miglio, giovane praticante nel suo studio legale che presto diverrà per lei qualcosa di più. Gabriella è fidanzata di Luca, con cui convive stancamente e non per molto ancora, ritrova la sua amica Alessia, fragile nel suo disadattamento alla realtà, segnata da un peso che non riesce a rimuovere e che drammaticamente la lega a Luana e al figlio: Gipo ne è istintivamente attratto e quando Gabriella e Luca gliela faranno conoscere tra i due nascerà la compassione di un amore. Gipo incrocia nei suoi giri pure Clemente Latini, un medico che lavorava nella clinica, in pensione, anch'egli vedovo, un Leopold Bloom avvolto nel flusso dei pensieri dialogando con la sua Anna che non c'è più: tornerà in corsia da volontario per leggere ad alta voce ai malati brani dei libri della sua biblioteca. Recuperandoli vedrà le dediche che un Roberto indirizzava alla moglie, la traccia di un tradimento.

«At last», finalmente. Tutti portano nei rispettivi abissi gli effetti di una ferita, una pena da scontare, il diario di un dolore come nel testo citato di Clive Staples Lewis da ripercorrere. Nel percorso delineato da Laudadio tutti mutano, si evolvono, maturano fino ad accettare la catarsi di un incontro. È la possibilità di riconciliarsi con il mondo che Laudadio consegna in un romanzo di bella e a tratti commovente intensità. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA