Baby-pusher e intoccabili nel regno della «Passilona»

Omicidio Nunzia D'Amico, i rilievi della polizia scientifica
Omicidio Nunzia D'Amico, i rilievi della polizia scientifica
di Leandro Del Gaudio
Domenica 11 Ottobre 2015, 09:52 - Ultimo agg. 10:05
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A casa sua, lì in via Flauto Magico, gestiva la più accorsata piazza di cocaina della zona. Uno snodo obbligato per quelli del quartiere, roba da migliaia di euro alla settimana. E non era fatta solo di «polvere bianca» la sua vita. No, la storia di Annunziata D'Amico, alias Nunzia la «passilona», era fatta anche di tanto altro: di armi, quelle rese agli affiliati più giovani prima del giro di controllo o delle incursioni in altri spaccati rionali, ma anche affetti familiari.

Legata sentimentalmente con Salvatore Ercolani (alias Chernobyl), aveva 40 anni e lascia sei figli. Uccisa ieri mattina, aveva preso le redini del clan familiare creato dai fratelli, i più conosciuti Antonio e Giuseppe, quest'ultimo noto come «fragolella». Dallo scorso marzo, dopo i sessanta arresti frutto delle indagini di Dda e carabinieri, lei era salita decisamente in cattedra. Secondo Maria Grandulli, una delle collaboratrici di giustizia della zona, «Annunziata era il vero e proprio capo della famiglia D'Amico». Parola di pentita, per altro messa nero su bianco in una confessione del 17 luglio del 2014, in un verbale che poi - dopo arresti e sequestri - ha fatto il giro del quartiere. Poi gestiva l'arsenale di famiglia, tanto che sono gli stessi inquirenti a ricordare che il via vai di ragazzi in scooter nei pressi di via Flauto Magico dipende dalla necessità di rifornimenti di mitra e pistole in casa della «ineffabile Nunzia D'Amico».



Un potere criminale radicato da tempo, che alla fine ha fatto i conti con una sentenza di morte firmata ieri mattina da quelli del clan De Micco, i cosiddetti «Bodo» di Ponticelli. Boss detenuti, giovanissimi sempre più sugli scudi. Babykiller marchiati a fuoco, innanzitutto con dei tatuaggi: la «fragola» per quelli dei D'Amico; il disegno di un fumetto, i secondi, quelli del clan De Micco che si riconoscono nel personaggio di «bodo».



Ma di fumettistico c'è poco nella vita di Nunzia, come nella storia di un quartiere popolato da persone per bene (la stragrande maggioranza) da sempre in attesa di un progetto di recupero post-industriale. Ricordate la visita dello scorso 28 settembre del presidente della Repubblica Sergio Mattarella? Era l'inaugurazione dell'anno scolastico per gli studenti italiani, evento celebrato nei banchi di un'eccellenza del territorio, la scuola Davide Sannino, nome di un ragazzo ammazzato anni fa nel corso di una rapina. Un segnale ad alto impatto simbolico, la presenza del capo dello Stato, che ha incoraggiato i residenti dell'ex quartiere industriale, ora più che mai costretti a fare i conti con l'ennesima faida tra cosche rivali.

Storie diverse, in una scia di sangue che risale al clan Sarno, una cosca scompaginata nel 2009 grazie al pentimento di tutti i suoi vertici e che fa ora i conti con un pericoloso abbassamento dell'età criminale. Non solo a Forcella, ma anche e soprattutto a Ponticelli, il trend è inquietante. Minorenni che portano armi, che fanno «imbasciate», che ritirano le tangenti, che sanno come far sparire le dosi di droga quando per strada arrivano polizia o carabinieri.

Lo scorso luglio, era stato il procuratore Giovanni Colangelo a sottolineare il caso Ponticelli dinanzi alla commissione parlamentare antimafia. Giovani killer, nessuna regola nel confronto armato.

Ma proviamo a fare luce sullo scenario criminale più recente. Omicidi, sparatorie, minacce trasversali, agguati incrociati vanno avanti dal 2013, quando quelli di Salvatore De Micco hanno iniziato la loro strategia espansionistica. Fragili e poco credibili le tregue tra i due gruppi, specie dopo l'omicidio del 18enne Minichini. Pare che il ragazzo ucciso non c'entrasse granché con la camorra, al di là del cognome pesante, ma la sua morte ha scatenato la faida, che poi si è nutrita e avvelenata nel corso del tempo per altri propositi di vendetta.

L'ultimo agguato, prima di ieri mattina, rimanda a sabato 5 settembre, quando viene ucciso Antonio Simonetti, in un negozio del rione De Gasperi. È un morto subìto dai De Micco - a ragionare per larghe linee - scontata la reazione che si è abbattuta sulla reggente del clan D'Amico.

Ma al di là dei rancori accumulati in questi due anni, le ragioni della faida hanno un carattere fortemente economico. Stando alle ricostruzioni più recenti, Nunzia D'Amico aveva detto no alla richiesta di tangente sulle piazze di spaccio che cadevano sotto il suo controllo. Niente soldi ai nemici, diceva, una sorta di sfida aperta a quelli del rione De Gasperi. Sapeva di poter contare sempre e comunque su un appoggio armato, in una protezione che ieri non è stata capace di impedire ai killer l'agguato di via Flauto Magico. Eppure aveva messo in piedi una serie di precauzioni di cui avevano parlato di recente anche alcuni collaboratori di giustizia. Come l'accesso nella sua abitazione: «Chi saliva dalla ”passilona” - ha spiegato un pentito - doveva lasciare le armi in mano a un loro affiliato, che le metteva in un vano ricavato in ascensore, così nessuno si impressionava e si poteva parlare di affari».

Droga e estorsioni. Come le tangenti imposte a un sistema di piazze confederato ai boss di via Flauto Magico. Un esempio? Uno dei figli più piccoli di Nunzia, un ragazzino minorenne, era spedito a prendere 500 euro alla volta da una piazza di spaccio di un proprio affiliato. Una tangente imposta nello stesso circuito criminale. Altro esempio dello spessore della donna? Aveva sempre voce in capitolo. Racconta un pentito: «Andammo a casa di ”Chernobyl” (il marito di Nunzia D'Amico, ndr) ma a parlare fu solo lei, la ”passilona”». Poi la presenza fisica nel quartiere. C'è addirittura chi ricorda le sue sortite in sella a un Beverly, uno scooter di alta cilindrata guidato da un affiliato per fare il «giro dei citofoni». È chiara l'espressione usata dal collaborate di giustizia. Cosa significa fare il giro dei citofoni? ...



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