Trent'anni dopo Giancarlo Siani è ancora con noi

Trent'anni dopo Giancarlo Siani è ancora con noi
di Pietro Perone
Mercoledì 23 Settembre 2015, 08:07 - Ultimo agg. 10:56
3 Minuti di Lettura
VIDEO - Giancarlo Siani: la Mehari verde torna per le strade di Torre Annunziata





Era un 23 settembre come questo, quello di trent'anni fa. L'estate scemava e la città era tornata a fare i conti con i suoi problemi di sempre, pressoché identici a quelli di adesso. Anche la redazione «Cronaca» del Mattino non era più semi deserta come lo era stata fino a qualche settimana prima, tanto che quel giovane giornalista, ancora non assunto a tempo pieno, arrivato dall'ufficio distaccato di Castellammare per sostituire i colleghi in ferie, accarezzava finalmente l'idea di una piccola fuga di svago dalla redazione poi svanita nel corso della serata per le notizie che si accavallavano e che bisognava mettere in pagina. Addio al concerto di Vasco Rossi, a bordo di quella strana auto che era la sua Mehari, Giancarlo attraversò come ogni sera le rampe Brancaccio e corso Vittorio Emanuele per tornare a casa.



Non voleva una «vita spericolata» né «una vita esagerata» Siani, a differenza della canzone di Vasco che impazzava in quella estate dei primi anni Ottanta: Giancarlo avrebbe voluto solo la propria vita, quella che gli è stata invece strappata a colpi di pistola sotto il palazzo dove viveva con i genitori e il fratello Paolo. Avrebbe avuto adesso 56 anni Giancarlo, e solo da diciotto anni sappiamo i nomi di chi l'ha ammazzato grazie a sentenze passate in giudicato in Cassazione. Una parte della storia, quella che attiene alle responsabilità penali di mandanti e assassini, non potrà più essere messa in discussione, risultato ottenuto grazie all'inchiesta avviata nel 1993 dall'allora giovane pm dell'Antimafia di Napoli, Armando D'Alterio, e da Bruno Rinaldi, capo della Mobile fino a quando non decise di lasciare la Polizia.



Sappiamo dunque da meno di un ventennio che la sera del 23 settembre del 1985 in piazza Leonardo al Vomero, dove oggi c'è la lapide che ricorda il martirio civile di Giancarlo, entrò in azione un commando di killer inviati dal padrino di Marano, Lorenzo Nuvoletta, al termine di una lunga trattativa con il boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta, che dal carcere si opponeva all'omicidio perché temeva le ritorsioni delle forze dell'ordine in quello che all'epoca era il suo “regno”. Il delitto del corrispondente del Mattino dalla città vesuviana avrebbe inevitabilmente dirottato i sospetti sul clan torrese, come infatti avvenne con l'arresto di uno spacciatore, Alfonso Agnello, vicino al clan dominante. Una pista deflagrata dopo qualche giorno, visto che il pregiudicato potè esibire un alibi degno di questo nome: una multa dei vigili di Castellammare quasi in contemporanea con l'orario del delitto. Il primo della lunga serie di colpevoli svarioni che portarono la magistratura a indagare nei mesi successivi finanche su una casa squillo del Vomero, fino ad arrestare un avvocato-faccendiere, Giorgio Rubolino, il «socio» Giuseppe Calcavecchia e un boss dell'epoca, Ciro Giuliano.



Tutti poi scarcerati dopo circa un anno, mentre la caccia a mandanti e esecutori del delitto finiva nella palude di Castel Capuano. Tanto si è detto dopo la morte di Giancarlo ma nulla di tutto ciò servì a illuminare la strada che avrebbe portato alla verità: Giancarlo a Torre Annunziata aveva capito, e lo raccontava quotidianamente nei suoi articoli, che la camorra non era più solo un fenomeno criminale, ma un sistema di potere di cui facevano parte amministratori locali e pezzi dello Stato, magistratura compresa. Partire dagli scritti di Siani nell'85 avrebbe inevitabilmente guidato le indagini in quel mondo di collusioni e patti scellerati tra potere politico e camorristi che verrà svelato solo un decennio dopo e in larga parte grazie alle dichiarazioni dei pentiti.



© RIPRODUZIONE RISERVATA