«La memoria della Shoah non deve creare una divisione tra noi ebrei e gli altri esseri umani che hanno subito o subiscono genocidi. Avrei scritto questo libro con lo stesso metodo se fossi nato armeno, o cambogiano, o ruandese, o fossi un sopravvissuto ai gulag», scrive Gabriele Nissim in “Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi” (Rizzoli). Il volume viene presentato giovedì 9 giugno a Napoli, alle 17 a palazzo Salerno in piazza Plebiscito 32; con l’autore intervengono il generale Giuseppenicola Nota e Lucio Romano, senatore. Nissim, saggista e scrittore, è fondatore di Gariwo, l’organizzazione che, a partire dall’esperienza del Giardino dei giusti di Gerusalemme, estende il concetto di Giusto nel mondo a donne e uomini che hanno protetto altri esseri umani nei genocidi, pur appartenendo al gruppo etnico, politico o religioso di chi aveva ideato il massacro.
La possibilità di altre Shoah è estesa e concettualizzata dall’autore nell’opera: «La dimensione della battaglia per la memoria è uguale all’interno di tutti i popoli vittime di atrocità di massa.
Lo sviluppo del volume mette al centro la figura dell’ebreo polacco Raphael Lemkin, il giurista che propose e ottenne, non senza difficoltà, il riconoscimento della categoria giuridica di genocidio alle Nazioni Unite, nel 1948. Lemkin aveva letto attentamente il Mein Kampf di Hitler, il libro in cui il dittatore dichiara il suo tremendo progetto di morte, dai campi di sterminio al programma di eliminazione di tutti gli ebrei. L’esperienza di Lemkin, gli ostacoli e gli sforzi incontrati da vox clamantis in deserto, funziona come metafora e presagio dell’approccio approssimativo al tema che avrà molta comunità civile nei decenni successivi, limite da cui non sarà esente neanche quella ebraica, in buona parte. Però così Auschwitz continuerà a non finire, a meno che, come chiede Nissim, non si trasformi in un monito universale: «Dobbiamo operare affinché la prevenzione dei genocidi diventi il nostro imperativo morale. Non commettere un genocidio deve diventare, come immaginava Lemkin, il nuovo comandamento morale dell’umanità».