Parole in libertà: l’incontro che cambia le prospettive

Parole in libertà
Parole in libertà
di Giuliana Caso *
Lunedì 17 Aprile 2023, 13:05
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Varcare i cancelli del carcere già predispone all’inaspettato. Certo, sai che stai per incontrare persone che hanno un passato pesante, e che sulle spalle hanno ergastoli, omicidi, condanne pluridecennali.

Sono boss, pezzi da novanta di quell’arcipelago criminale che avvelena il nostro territorio. Dopo una vita spesa a raccontare le cronache che li hanno visti protagonisti, dopo un impegno mai spento per la legalità, al fianco delle vittime innocenti di camorra, ricordandole, capita che, se varchi quei cancelli con il carico di pregiudizi che delineavano con nettezza i confini tra il bene e il male, arrivi l’inaspettato.

Arriva sotto forma di una nuova considerazione che non pensavi potesse mai fare parte di te. Arriva, ascoltando storie di maladolescenza vissute senza alternativa alcuna, storie di strade spianate verso il mondo oscuro del malaffare: e la prospettiva cambia.

Ascolti l’uomo, oltre il reato. Senza dimenticare, però, che questi uomini sono in carcere per, come si dice, pagare per quello che hanno fatto. E hanno fatto cose gravi. Ma coesistono, dentro di te, la consapevolezza del carico pesante che costoro si portano dietro con una nuova e percepibile voglia di riscatto, di cambiamento; un rivolgimento in cui vuoi credere e che accogli, al fianco e insieme a quello che sono stati e per cui sono qui.

Rappresentare la Fondazione Polis nel progetto ‘Parole in libertà’ all’interno del carcere di Secondigliano è un grandissimo onore, ma è anche un’esperienza notevole di crescita e cambiamento. Un’esperienza difficile, ma unica ed emozionante. Farsi portatrice delle istanze di una Fondazione che rappresenta, aiuta e sostiene le vittime innocenti di camorra e di tutti i reati, che lavora nel riuso sociale dei beni confiscati alle mafie, che diffonde i prodotti coltivati sui terreni un tempo appartenuti alla criminalità organizzata non è un lavoro semplice, soprattutto all’interno di un carcere, e ancor di più nel reparto di alta sicurezza. Sono mondi contigui e opposti che si scontrano, ma qui e in questo progetto si incontrano e si arricchiscono vicendevolmente.

Sì, lavorare con i detenuti arricchisce. Regala emozioni forti e contraddittorie, incrina convinzioni che pensavi granitiche, fa nascere nuovi e diversi punti di vista. E apre strade, dà vita a momenti importanti, come quello che abbiamo vissuto qualche mese fa, quando i detenuti che prendono parte al progetto hanno incontrato il presidente della Fondazione Polis.

don Tonino Palmese, Bruno Vallefuoco e Peppe Miele, rispettivamente padre e fratello di due vittime innocenti di camorra. Fu un incontro intenso, importante, che i detenuti ci hanno chiesto di ripetere al più presto.

Ancora una volta, i due mondi opposti si sono incontrati sul terreno neutro del confronto, che si pensava impraticabile tra killer e vittime. E invece può accadere, deve accadere, dando senso a quello che il carcere dovrebbe essere, ovvero un percorso di rieducazione profonda e non soltanto una pena per un reato commesso. Bisogna crederci e se anche uno solo dei detenuti una volta fuori smette di delinquere abbiamo vinto.

Qualche settimana fa due persone che fanno parte del nostro laboratorio di giornalismo hanno raggiunto un traguardo importante: si sono laureati in Scienze Erboristiche dopo un percorso triennale di studi. Alla seduta di laurea, oltre ai docenti della facoltà di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli, c’erano anche la direttrice del carcere, Giulia Russo, e il rettore Matteo Lorito, con tanto di toga ed ermellino per dare la giusta solennità all’evento, che è stato decisamente emozionante, anche se si è tenuto nella palestra del carcere, trasformata per quel giorno in un’Aula Magna. «Lo studio ha dato un senso al tempo trascorso qui, ha detto uno dei neodottori, ‘che quindi non è stato solo tempo perso».

Entrare in un carcere, ribadisco, significa entrare in mondo differente, dove quando chiedi ad uno dei tuoi studenti: ‘quanto ti manca per uscire?’, e lui ti risponde: ‘non uscirò mai’, percepisci tutto il peso della sua condanna e come il ‘fine pena mai’ riesca a sconcertare il tuo precedente giustizialismo netto e senza appello, nato sopra i troppi morti uccisi visti, fotografati e raccontati in articoli di giornale. Mai è una parola piccola, ma pesante come piombo.

Entrare in un carcere significa incontrare anche belle intelligenze, fino a prima dell’arresto messe al servizio della criminalità. Oppure incontrare chi attende un processo, ancora nel limbo dell’attesa di giudizio.

E sperare, sinceramente, che per loro e per quanti più detenuti si possa realizzare davvero un cambio di rotta. Noi, con loro, siamo già cambiati.

* Giornalista, referente della Fondazione Polis per il progetto Parole in Libertà all’interno dell’Istituto “Pasquale Mandato” di Secondigliano

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