«Garko è tanta roba»: il Csm ridà l'inchiesta alla pm «innamorata»

«Garko è tanta roba»: il Csm ridà l'inchiesta alla pm «innamorata»
Venerdì 17 Giugno 2016, 20:25 - Ultimo agg. 20:29
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Aveva commentato con le amiche sul suo profilo Facebook l'avvenenza fisica di Gabriel Garko, ascoltato come testimone sul vasto incendio della villetta a Sanremo in cui l'attore alloggiava e che era costato la vita a una donna. Per questo la pm Barbara Bresci si era vista togliere l'inchiesta dal procuratore di Imperia, oltre a finire sotto inchiesta disciplinare. Ora il Csm le dà almeno in parte ragione, bocciando la revoca dell'indagine.

Sia pure motivata da «comprensibili preoccupazioni» ,la sottrazione dell'inchiesta «non è conforme alle previsioni dell'ordinamento», scrive la Settima Commissione in una delibera su cui il plenum di esprimerà mercoledì prossimo. Sia perché non rientra «nei casi tassativi previsti dalla legge», sia perché il comportamento del magistrato, «pur valutabile sotto il profilo della correttezza e del canone della riservatezza, non ha inciso in alcun modo sul concreto andamento» dell'inchiesta. Di qui l'invito al procuratore Giuseppa Geremia a «adottare i provvedimenti conseguenti», cioè a ripensarci.

Tutto è avvenuto agli inizi di febbraio scorso. «È tanta roba pure acciaccato e in pigiama, da non sapere dove guardare», aveva scritto tra l'altro la pm dopo aver sentito Garko, secondo i resoconti di alcuni quotidiani. Lo aveva fatto rispondendo alle domande incuriosite delle amiche, che le chiedevano se si era rifatta gli occhi e se aveva guardato il conduttore di Sanremo anche per loro. Messaggi che qualcuno aveva segnalato ai carabinieri, lamentandosi del comportamento del magistrato, che era finito così all'attenzione del procuratore.

Il capo dell'ufficio non aveva perso tempo. E senza nemmeno convocare Bresci le aveva tolto l'inchiesta, anche per prevenire danni di immagine all'ufficio, ritenendo le sue affermazioni su Garko, «incompatibili con la riservatezza, la serenità e il distacco necessari al corretto svolgimento della funzione del pm». Lei però aveva contestato la decisione «adottata fuori dai casi previsti dalla legge»; e aveva spiegato che si era limitata a commentare l'avvenenza fisica dell'attore, senza rivelare in alcun modo il contenuto di atti di indagine, e che non c'era il rischio di ledere alcunchè, visto che aveva scritto su un profilo Facebook chiuso. Quindi si era rivolta al Csm,che prima di giungere alle proprie conclusioni ha ascoltato tutte e due le parti in causa.

Ai consiglieri Geremia aveva ribadito che con quei messaggi Bresci aveva violato gli obblighi di equilibrio e riserbo.
E di aver avocato l'inchiesta per evitare la compromissione dell'immagine dell'ufficio. Il Csm condivide che la credibilità del magistrato titolare di un'indagine e dell'intero ufficio sia un «bene assolutamente primario». Ma spiega che non può essere tutelato con la revoca dell'assegnazione che l'ordinamento ammette solo in due casi tassativi, che in questo caso non ricorrono: quando un pm non si attiene alle disposizioni che gli ha dato il capo o sorge un contrasto sulle loro modalità di esercizio. I consiglieri non si esprimono invece sulla legittimità dei limiti della manifestazione del pensiero dei magistrati sui loro profili Facebook,rimandando la questione a una «separata, completa e più approfondita analisi». 
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