Il teologo Forte: «Così il Papa rilancia nel mondo la sua sfida globale»

Il teologo Forte: «Così il Papa rilancia nel mondo la sua sfida globale»
di Donatella Trotta
Lunedì 28 Aprile 2014, 08:17 - Ultimo agg. 15:22
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Un evento storico. Di portata planetaria. Un intreccio di immagini, parole ed emozioni condiviso in piazza San Pietro da un milione di persone con uno straordinario “poker” di Papi che ha puntato sull’”azzardo“ della fede nel mondo secolarizzato.



E ha offerto, così, «una visualizzazione dei frutti di quei semi di amore lanciati, negli anni del loro ministero, da Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II», come commenta a caldo Monsignor Bruno Forte dopo aver partecipato, ieri mattina a Roma, alla solenne concelebrazione per la canonizzazione di Roncalli e Wojtyla. Autorevole teologo, filosofo, studioso, poeta e saggista napoletano di respiro internazionale, dal 2004 arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto, oltre che membro della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione e, dal 14 ottobre 2013, segretario speciale della III Assemblea generale straordinaria del sinodo dei vescovi su nomina di Papa Francesco, Monsignor Forte è rimasto molto impressionato, dice, soprattutto «dalla partecipazione della folla, immensa e variegata, piena di giovani: raccolta, concentrata, in ascolto silenzioso con le giuste esplosioni di gioia, quasi fosse “educata” al valore della santità».



Una testimonianza preziosa per tentare un primo bilancio, da parte di un “osservatore” privilegiato dal proprio personale doppio legame ai due Papi santi…...Forte sorride: «A Giovanni XXII – spiega – sono legato attraverso la figura di Monsignor Loris Capovilla, che sento molto spesso e che di papa Roncalli fu segretario, oltre ad essere mio predecessore a Chieti, dal 1976 al ‘71, rimanendo legatissimo alla diocesi; con Giovanni Paolo II ho invece avuto un rapporto personale. Mi chiese di predicare gli esercizi spirituali nel 2004, gli ultimi della sua vita, un anno prima del suo ritorno alla casa del Padre».



Un ricordo di quei momenti?

«Per me furono emozioni indimenticabili, al di là dell’onore ricevuto dal Santo Padre. Il Papa, già molto malato, partecipò con una grandissima passione e intensità agli esercizi ed ebbi netta l’impressione che fosse davvero un uomo di Dio, abitato da Dio. Non dimenticherò mai che, malgrado le sue precarie condizioni fisiche, si metteva continuamente e a lungo in ginocchio, in totale adorazione».



Qual è la sua valutazione dell’evento della canonizzazione?

«Penso che la domanda da porsi sia: che cosa spinge tanta gente da tutto il mondo a guardare a questo evento con tanta partecipazione e interesse? La risposta è fondamentalmente una: il messaggio, l’annuncio che queste due figure di papi, in mondo complementare, trasmettono e irradiano al mondo: l’amore di Dio, la forza trasformante e accogliente dell’amore e del perdono di Dio che sana e salva. Penso che la gente abbia un immenso bisogno di sentirsi amata, accettata. E questo bisogno è stato interpretato e incarnato da entrambi, Giovanni XXIII e da Giovanni Paolo II».






Con quali differenze?

«Da un lato Giovanni XXIII, non a caso definito “il Papa buono” per la sua immediatezza e bontà d’animo, che ha mostrato con il suo esempio la possibilità di un amore che comprende, guarisce, accoglie soprattutto i più deboli, sofferenti, poveri. Dall’altro lato Giovanni Paolo II, che ci ha donato lo stesso messaggio ma con una portata storico-politica differente derivata, in lui, dall’esperienza del totalitarismo: Wojtyla ha incarnato quello stesso messaggio d’amore ma in chiave di rottura delle logiche su cui l’ideologia si fondava. Con il suo magistero ha voluto dimostrare che non i poteri politici o ideologici cambiano il mondo, ma la forza dell’amore e del perdono».



Un esempio concreto per entrambi?

«Ho in cuore e nella mente alcune immagini molto forti. La prima è l’incontro di Giovanni XXIII con i detenuti del carcere di Rebibbia, un simbolo potente e indimenticabile della tenerezza e dell’attenzione di questo Papa verso chi è in difficoltà. Un’immagine che fa il paio con il celeberrimo invito a dare una carezza ai bambini da parte sua, la sera dell’apertura del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962. Il Papa lo disse affacciato dalla sua finestra, illuminata dalla luna piena, in piazza San Pietro gremita di fedeli esultanti, conquistati da queste forme semplicissime di comunicazione ma portatrici di un messaggio tanto chiaro quanto radicalmente evangelico. Di Giovanni Paolo II ricordo invece il suo primo pellegrinaggio in Polonia: era un periodo di tensioni sociali e politiche, sarebbe bastato un solo cenno di Wojtyla perché quel bagno di folla entusiasta che lo accolse montasse in ondate di ribellione, trasformandosi in tempesta di rivolta. E invece, anticipando e in qualche provocando il movimento della Glasnost di Gorbaciov, Wojtyla mirava a ben altro: al risveglio delle coscienze. Pacifico, ma profondamente rivelatore di tutta la disumanità annidata nell’ideologia totalitaria».



Giovanni XXIII, con l’Enciclica «Pacem in terris» sul tema della pace, ha dato un contributo altrettanto forte agli equilibri geopolitici mondiali...

«La portata del tema della pace è fortissima e profetica in Giovanni XXIII, oltretutto in un’epoca storica in cui vigeva ancora il sistema dei blocchi della guerra fredda. La sua posizione, e le potenti riflessioni di questo suo documento pontificio, aprirono alla speranza della riconciliazione e alla possibilità di una umanità diversa, finalmente pacificata. Wojtyla è diventato Papa in un’altra epoca, nella quale ha portato avanti, anche con il contributo dato alla caduta del muro di Berlino, il senso unificante del messaggio della “Pacem in terris”. Ma direi che in Giovanni Paolo II questo messaggio di amore si è poi coniugato alla contestazione della logica del potere politico-economico delle ideologie».



E il suo ruolo nell’indire il Concilio Vaticano II? Quale la portata di quell’evento?

«La spiega bene l’idea dalla quale è nata la volontà di convocare il Concilio: Roncalli indisse il Concilio per un atto grandissimo di fede e di amore per l’umanità, per obbedire allo Spirito Santo e per una Chiesa che si rinnovasse nel tempo al servizio degli uomini e delle donne, come spiegò a monsignor Capovilla. Il quale mi ha raccontato come questa idea germogliò fino a maturare. Erano in auto, lui e Giovanni XXIII, da pochissimo eletto Papa. “Sai”, gli disse Roncalli, “gli uomini si riuniscono e si confrontano per aggiornarsi; penso che anche la Chiesa avrebbe bisogno di un aggiornamento, con un Concilio”. Capovilla tacque. Due giorni dopo, e due giorni dopo ancora, stessa scena. Roncalli manifestava le sue intenzioni di indire un Concilio, e Capovilla taceva. Finché il Papa sbottò: “Sono tre volte che ti parlo di questa idea e tu resti in silenzio. E io capisco perché: lo imparai quando ero segretario del mio cardinale, Giacomo Maria Radini-Tedeschi. Se non ero d’accordo su qualcosa, tacevo. Ma tu sbagli due volte: perché vuoi troppo bene al Papa e perché sei poco umile. Mi vuoi bene perché vuoi evitarmi figuracce: pensi che se indico ora un Concilio rischio di non riuscire a portarlo a termine e posso fare brutta figura con il mondo; e sei poco umile perché le cose non si fanno per fare bella figura ma per obbedire allo Spirito Santo”. Questo era papa Giovanni XXIII».



Il Papa «della docilità allo Spirito Santo, guida guidata», come l’ha definito domenica Papa Francesco nella sua omelia. E Giovanni Paolo II? Per Bergoglio è «Il Papa della famiglia»: è d’accordo? «Sì: Karol Wojtyla ha scommesso su questa cellula vitale della società che già allora manifestava i segni di una crisi perché aveva compreso che se non si scommette sulla famiglia, sui bambini, sul futuro si perde la via della rinascita. Un dibattito aperto, su cui non a caso insisteranno i lavori sinodali».



Ma tra le Encicliche di Giovanni Paolo II quali sono invece quelle più rappresentative del suo magistero? «A mio avviso, la “Redemptor Hominis”, perché guarda a Cristo come modello universale di umanità proponendo a donne e uomini di ogni cultura e di ogni fede l’esempio di Gesù che dà la vira anche per chi l’ha crocifisso, dunque per i suoi nemici. E la “Dives in misericordia” perché presenta il volto della tenerezza e della misericordia del Padre di cui tutti abbiamo immenso bisogno. Questo annuncio era stato offerto nel cuore del ‘900 e della tragedia dei totalitarismi e delle guerre mondiali, in un momento in cui cioè tutti si odiavano, proprio da una suora polacca, Faustina Kowalska, che anche per questo Giovanni Paolo II ha voluto proclamare santa».



Un tratto, la misericordia, in comune con Papa Francesco.

«Certo: insiste sempre tanto sul Dio che non si stanca mai di personare anche se noi ci stancassimo di chiedergli perdono…» E la «Fides et Ratio»? Quanto ha influito sui rapporti della Chiesa con la modernità? «In questa Enciclica Giovanni Paolo II ha dialogato con la cultura moderna e il razionalismo, sottolineando che la ragione non trova nella fede una minaccia, e che anzi apre ad un orizzonte ulteriore per rendere la ragione sempre più libera e non violenta, se non si chiude in se stessa».



Con la lettera apostolica Mulieris Dignitatem Wojtyla ha aperto un ulteriore orizzonte nel rapporto tra le donne e la Chiesa, che sembra rilanciato da Papa Francesco: è così?

«Sì: sia Giovanni Paolo II che papa Francesco hanno esplicitato più volte il bisogno di riconoscere molto di più il ruolo delle donne, difendendone la dignità e auspicando una valorizzazione dei loro talenti anche in dimensioni decisionali. Un cammino pure questo aperto, in divenire».



Ma quale è il rapporto di queste due figure con l’attuale Papa Francesco, Papa della globalizzazione rispetto ai suoi predecessori italiano e polacco, più radicati in Europa? Quali continuità e differenze?

«Papa Francesco è una sintesi prodigiosa di questi suoi due predecessori: ha i tratti di bonarietà e tenerezza di Giovanni XXIII e nello stesso tempo la statura di leader mondiale di Giovanni Paolo II. Nella sua figura e nella sua missione mi sembra universalizzare il carisma dei due Pontefici santi, e il loro messaggio unificante nella diversità: tanto l’annuncio sanante dell’amore nei confronti di tutti, e in particolare dei più deboli, tanto il senso della forza rivoluzionaria dell’amore nei confronti dei sistemi totalitari e di tutte le ingiustizie sociali ed economiche, tanto nello scenario delle iniquità di molti Sud del mondo, compresa l’America Latina dalla quale Bergoglio proviene, quanto nella società post-capitalistica con il suo edonismo, individualismo e consumismo. È giusto dunque che sia stato lui, alla presenza del Papa emerito Ratzinger che fu stretto collaboratore di Giovanni Paolo II e ne avviò la causa di beatificazione, a celebrare la solenne canonizzazione. Inevitabile, con gli occhi del credente, leggere dunque una continuità in queste figure, e riflettere sulla straordinaria fioritura di Papi giusti che la storia recente ci ha donato».



Qualcuno tuttavia ha letto nella doppia canonizzazione una sorta di autocelebrazione della Chiesa, a discapito di tanti «cristiani nascosti, impliciti o anonimi» (Karl Rahner) che vivono il Vangelo come «servi inutili» (Luca 17). Qual è il senso della santità oggi, in un mondo sempre più indifferente e secolarizzato?

«Non ritengo che la Chiesa si autocelebri canonizzando due Papi, anzi. È invece un messaggio per tutti. Un messaggio che amplifica la logica della forza dell’amore e del perdono di Dio per gli altri estendendola a chiunque e capovolgendo così, nella ”parresìa“ che è libertà, le logiche terrene legate al profitto, al cinismo, all’egoismo e all’utilitarismo. Per questo la canonizzazione dei due Papi, lungi dall’essere uno spettacolo trionfalistico, ha al contrario un valore e una funzione universali di consolazione, sostegno e stimolo. Sono un esempio di vita, un modello di virtù e un conforto per tutti. Credenti e non credenti. Perché sono uomini che con il loro impegno, e con la loro fede, hanno (di)mostrato come il cristianesimo non sia una dottrina astratta, ma una relazione. Un incontro. Un legame, nel quale i santi diventano mediatori tra terra e cielo, tra uomo e Dio».






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