Di Bartolomei, vent'anni di solitudine

Di Bartolomei, vent'anni di solitudine
di Paolo Russo
Venerdì 30 Maggio 2014, 11:32 - Ultimo agg. 12:34
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Il compasso perfetto dei quadricipiti. I dardi liberatori scoccati senza dare rotazione al pallone. Le diaboliche traiettorie, i gesti eleganti, i gol di potenza, pura violenza agonistica che diventa carezza. Le vittorie e le sconfitte, e lui come un eroe dei due mondi che sembrava non stare a suo agio n nel primo n nel secondo. Poi la beffa fatale con il Liverpool, e con un salto triplo, il tragico finale di partita con la vita. E sempre, allora come oggi, il sottofondo assordante di silenzi infiniti che raccontavano un uomo prima che un campione. Tutto detto, tutto scritto, tutto da ricordare. Oggi che avrebbe 59 anni, contiamo gli ultimi venti nel ricordo di Agostino Di Bartolomei e ci convinciamo che Salerno ha condiviso con lui una vita intera, che sembra non ancora finita: una città che ha gioito e poi pianto, ha vinto e poi lo ha perso.

Maledetto quell’anno, il 1994: Salerno felice in serie B dopo i playoff al San Paolo e l’angoscia di quanto era accaduto poche settimane prima: la morte di Di Bartolomei eremita laggiù nel Cilento amico, prof di calcio senza cattedra. Fu l’anno in cui se ne andarono anche Senna, Modugno e Troisi, amatissimi e controversi in un incrocio assurdo del destino. Stagioni del cuore maledette. Ma tutto era cominciato molto prima, nel 1988, con un ingaggio ridicolo nella cifra se solo si pensa a quanto viene pagato oggi un top player. Una scelta di vita, disse. Resteranno forse le sue uniche parole fuori dal campo, dove invece parlava ai compagni con i gol e con lo sguardo. Salerno allora sognava scommettendo sulla sua scelta, sull’Arechi che allora era un cantiere da inaugurare con una promozione. La Roma nel cuore, la famiglia in testa, il futuro a Santa Maria di Castellabate, dolce buen retiro «dove non si muore mai». Eccolo benvenuto al Sud. Felice, senza sorriso. Come negli allenamenti al Vestuti, con il pienone in tribuna di giovedì, per la partitella. Venivano inviati da tutta Italia, raccontavano la storia di “Ago” e di una città di provincia improvvisamente enorme. Era il campione della porta accanto. Firmava autografi, spariva nel tunnel degli spogliatoi. Riappariva in campo con una prodezza, un colpo di luce nel buio della terza serie.

Due campionati a Salerno, il primo da dimenticare. Con l’onta della panchina per il campione che in quella stagione contò tre allenatori e si adattò all’infernale girone della C attraversato da improbabili esperti di calcio. Poi la svolta del verace presidente Soglia, che urlava «tutti uniti» e gli costruì intorno una squadra tosta, non invincibile, e lui dilagò con le sue reti decisive, le sue aperture per gli attaccanti che oggi sembrano il riscatto delle sue chiusure caratteriali. La promozione in B, contorta nel finale, agrodolce anche nel giorno della festa: la città impazzita e il palco mezzo disertato per quel premio che la società non voleva versare. Capì forse quel giorno che il calcio non era più galantuomo e scivolava via su una deriva brulla, senza più onore e sentimenti. I compagni di squadra gli regalarono una targa d’oro, poi tutti sulla motonave granata noleggiata dalla società a fare la spola con Positano, balli e champagne. Lui era già a Santa Maria di Castellabate, prigioniero tra passato e futuro. Mille giorni dopo, alle otto del mattino, il corto circuito che spegne la luce. Non c’era il sole il 30 maggio 1994, Cielo coperto ma non pioveva. L’auto dei carabinieri ferma sotto il villino, frotte di giornalisti silenziosi che facevano la spola tra la piazzetta del paese e il campo di calcio cercando risposte impossibili. Ricordiamolo invece con qualche domanda. Negli ultimi vent’anni avrebbe potuto essere l’allenatore di una squadra di calcio? Avrebbe potuto insegnare calcio ai bambini? Lo avrebbero chiamato a commentare in tv campionato, Champions o i sei mondiali che si sono giocati? Ci è mancato e ci manca. Sarebbe stato innanzitutto un marito e un papà. Ma diciamolo in silenzio, sommessamente, a lui forse sarebbe piaciuto così.



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