Napoli Teatro Festival, Cappuccio racconta l'amico Battiato

Napoli Teatro Festival, Cappuccio racconta l'amico Battiato
di Ruggero Cappuccio
Lunedì 5 Giugno 2017, 11:54
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Tra i privilegi più preziosi della mia vita interiore c'è quello di essere amico di Franco Battiato. Per dire parole che rassomiglino ad una verità storica potrei affermare che lo conosco da molti anni. Ma questo enunciato così banale non basterebbe a spiegare che cosa è veramente un amico, come entra nella nostra vita e chi è Battiato per me. Come tutte le cose autenticamente importanti di un'esistenza, gli amici non si conoscono, gli amici si riconoscono. E quando incontrai per la prima volta Franco scoprii che la sua immagine ricomponeva in me un ricordo preesistente, un ricordo semplicemente anteriore alla mia stessa dimensione anagrafica. Parlare con lui, condividere idee, libri e sorrisi, era un processo di conoscenza, un processo di ritrovamento del sé che riportava alla luce una musica primaria che riguardava il mio sentire, il mio modo di stare al mondo. E d'altra parte, Platone non scriveva forse all'ombra di un ulivo che conoscere è ricordare?

Nell'anno duemilatré, mentre ero direttore del Festival di Benevento, lo invitai ad inaugurare la manifestazione nello straordinario spazio del teatro romano. Battiato mi raggiunse con la sua orchestra e con Manlio Sgalambro. A Benevento ci sono persone che quella sera di settembre la ricorderanno ancora perché quel concerto seppe toccare i corpi e le anime. Franco Battiato non crede alla separazione tra le arti, sa molto bene che un poeta può fare musica altissima e un musicista può fare altissima poesia. Sa che tra un segno di Leonardo e un dramma di Shakespeare non c'è nessuna differenza. Così mi è apparso subito chiaro che per inaugurare il Napoli Teatro Festival Italia nel mio primo anno da direttore artistico non esistesse una persona più giusta di Battiato.
Abbiamo pensato insieme alle immagini di Antonio Biasiucci in forma di videoinstallazione; Battiato e Biasiucci, tutti e due così appassionati di piccoli paesi, piccole campagne, piccoli volti in cui risplende tutta la vastità del creato. Vogliamo celebrare il Sud e la sua luce, l'abbagliante coraggio di Vico interpretato da Mimmo Borrelli, di Auden recitato da Fabrizio Gifuni, della Bachmann che risuonerà nella voce di Imma Villa.

Abbiamo voluto che l'ingresso al concerto fosse libero e che gli ottocento posti a sedere fossero riservati alle associazioni che lavorano nel mondo del disagio, dal carcere di Nisida alle donne vittime di violenza. Abbiamo pensato ad un tessuto musicale composto dalla Symphony Orchestra e dalla Electric Band. Archi e Pop, antichi saperi e contemporaneità. E tutto questo si poteva concepire solo insieme ad un grande artista e un grande amico.
Ogni vera modernità trae sempre origine da radici antichissime. Quando vado a casa di Franco, in un luogo ancora bello come Dio dovette immaginare il mondo per la prima volta, tra l'Etna e il mare di Sicilia, trovo sul suo pianoforte un notturno di Chopin e uno spartito di Haendel. Suona questo, il mio amico Franco, a casa sua. E la vera ragione per la quale le persone lo amano è che nella sua musica sentono con coscienza o intuizione lo splendore della grande poesia musicale del Settecento e dell'Ottocento, arricchita dalla sensibilità di uno che compone come dipingeva Picasso.

Negli ultimi sette anni i miei rapporti con Franco si sono intensificati sempre più. Mi ha nutrito condividere con lui l'importanza del silenzio, la sintesi di un gesto. Ho approfondito la bellissima idea del disidentificarsi, un'arte difficile che si può attivare solo a condizione di essersi identificati molto bene. Ho capito fino in fondo che in un solo respiro fatto bene c'è tutto l'universo, ci sono tutti i secoli e un attimo della nostra vita è prezioso quanto cento anni. Con Franco condivido l'amore per la terra, la sua Sicilia e il mio Cilento. Campagne silenziose, per fortuna molto dimenticate che ci aiutano a non sfuggire a noi stessi. Luoghi in cui ci si sente, per dirla con Spinoza, docili e vitali fibre dell'universo. Dobbiamo imparare ad aiutare l'infinito se vogliamo che l'infinito ci aiuti.
Da dove arriva dunque il volto del mio amico Franco? Da quale vita precedente proviene il ricordo della sua voce, da quale esperienza prenatale mi raggiungono le sue vibrazioni energetiche così buone, così semplici, così affettuose? Ci siamo già incontrati qualche secolo fa? Può darsi. La seconda possibilità è che Franco abbia lavorato così bene a cesellare la sua anima da essere diventato come l'onestà del mare. Forse il ricordo prenatale che ho di lui è l'innatismo della grazia e semplicità dell'universo. E con il mio amico mi piace avere un desiderio in comune: che una stella ci dia un appuntamento meno effimero nella sua regione di perenne certezza. Dopo tutto sappiamo che tra la vita e la morte non c'è alcuna differenza.
 
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