PERUGIA - Il ritardo nel ricovero ha limitato la possibilità di salvare la vita a Stefano Brando. Non hanno dubbi il professor Vittorio Fineschi e il medico legale Matteo Scopetti, consulenti di parte della famiglia del medico ucciso lo scorso 19 novembre dal coronavirus e - secondo loro, a questo punto - dall'ospedalizzazione ritardata nonostante le quattro richieste di aiuto.
Nelle quarantotto pagine di relazione, appena depositate in procura, i due esperti periti (Fineschi è ordinario di medicina legale alla Sapienza di Roma e nel curriculum vanta la presidenza dell'Italian Network for Safety in Health Care) ribaltano i risultati raggiunti da consulenti altrettanto blasonati come Antonio Oliva, Vincenzo Arena e Andrea Arcangeli, nominati dal procuratore aggiunto Giuseppe Petrazzini. Che per quella morte - la prima di un medico in Umbria per Covid - ha aperto insieme al procuratore capo Raffaele Cantone un fascicolo per omicidio colposo, ancora comunque contro ignoti. I tre periti della procura hanno infatti certificato l'assenza di responsabilità degli operatori e sanitari del 118, che per primi hanno risposto alle telefonate di Brando per chiedere un ricovero, come nessuna responsabilità dei medici che lo hanno curato, prima in Malattie infettive e poi in Terapia intensiva.
Un finale che invece i consulenti della famiglia, che ha presentato un esposto in procura subito dopo il decesso, evidentemente non condividono. Non solo accennando alla «presenza di una possibile sepsi da Pseudomonas Aeruginosa», una tipica infezione “nosocomiale” che quindi si prende spesso in ospedale (e citata dagli stessi periti dei pm), ma ribadendo con forza i dubbi sui ritardi, dopo quattro telefonate al 118 e il ricovero effettuato solo alla quinta nel momento in cui Brando è svenuto, sbattendo la testa, nel bagno di casa. «Giova rammentare – si legge nella relazione - come il trasporto in ambiente ospedaliero fu attivato solo in data 26.10.2020, allorquando la saturimetria mostrava valori critici pari a 82% e 86%.