Sud, famiglie equilibriste per resistere al carovita e alla crisi

Sud, famiglie equilibriste per resistere al carovita e alla crisi
Sono più “equilibriste” le famiglie del Mezzogiorno. Forse sono state costrette a diventarlo ma rispetto alla media nazionale, pur avendo una condizione...

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Sono più “equilibriste” le famiglie del Mezzogiorno. Forse sono state costrette a diventarlo ma rispetto alla media nazionale, pur avendo una condizione economica peggiore tra redditi bassi e scarsa capacità di risparmio, si occupano più che nel resto del Paese dei loro congiunti fragili, tra disoccupati, non autosufficienti, anziani e genitori. Lo dimostra la lettura in chiave Sud di “Sguardi famigliari”, l’ultima e interessante ricerca di “Nomisma Spazio sociale” diffusa ieri e mirata a guardare alle famiglie non più con un format generalista e soprattutto economico (consumi, salari, reddito ecc.) ma nello specifico delle loro storie, delle aspettative, dei comportamenti. E sono proprio i dati sul Mezzogiorno, estrapolati da quelli nazionali grazie alla disponibilità dell’economista Mario Marcatali, coordinatore della ricerca, a confermare la credibilità di questa scelta, «nella consapevolezza che le politiche per le famiglie non possono più basarsi solo su un bonus di sostegno, per quanto necessario», spiega lo stesso Marcatali. 

L’equilibrismo dei nuclei meridionali risente certo di tradizioni storicamente molto diffuse (non è un caso che la percentuale di famiglie mono-componenti sia nettamente maggiore al Nord). Ed è altrettanto vero che la pandemia ha in qualche modo rafforzato questa tendenza. Ma dietro questa continua ricerca di «un equilibrio dinamico tra un contesto socio-economico turbolento, che produce forti impatti sulle equilibri delle famiglie, e transizioni famigliari sempre più complesse ed esposte a condizioni di vulnerabilità» l’impatto sul Mezzogiorno è forte. Sul piano economico, spiega Marcatali, le famiglie meridionali che non riescono più a risparmiare sono il 5% in più della media Italia (34% contro 29%); e il 6% in più di quelle ritengono il loro reddito inadeguato (22% contro 16%). Quelle che al loro interno hanno componenti disoccupati sono 8 punti di più (26% contro il 18%) della media nazionale. Ma sono sempre queste famiglie a farsi carico in misura decisamente maggiore dei componenti più fragili: sono 7 punti sopra la media nazionale per gli anziani (quasi il 50% ne ha uno nel proprio nucleo), il 15% per membri con limitazioni, il 3% per i non autosufficienti. 

«Tante famiglie, soprattutto al Sud ma in generale in tutto il Paese, si stanno facendo carico di problemi che non sono osservabili solo come comportamenti economici. Spesso essere più o meno equilibristi è una costrizione e proprio per questo la risposta “a canne d’organo” delle attuali politiche famigliari funziona poco. Non si possono interpretare le famiglie per silos», spiega ancora Marcatali. 

Dallo studio di Nomisma emerge però anche altro. Nell’Italia che deve fare i conti con l’inflazione, più pesante al Sud come ha dimostrato l’altro giorno la Svimez, c’è una categoria di famiglie, quelle definite “sandwich” (quelle famiglie o quegli adulti che, per posizione generazionale, ogni giorno si prendono cura allo stesso tempo dei figli e dei genitori) che soffrono di più per la condizione economica. Il dato nazionale dice che «il 74% si trova in condizioni di disagio economico, di cui il 41% anche a causa di una diminuzione del reddito complessivo percepito dalla famiglia nell’ultimo anno». E se il 72% di famiglie con almeno un componente non autosufficiente giudica il proprio reddito inadeguato, ben il 7% «dichiara addirittura di avere un reddito gravemente insufficiente». Inoltre, alcuni componenti delle famiglie “sandwich” impegnati nel doppio compito di cura (dei figli e dei propri genitori) riscontrano grandi difficoltà nel conciliare vita lavorativa ed esigenze famigliari: «Il 29% degli intervistati ha riscontrato problemi di conciliazione famiglia–lavoro, una percentuale molto alta se comparata all’11% del totale del campione». 

Anche poi di fronte a un miglioramento generale delle condizioni economiche, testimoniato dalla minore percentuale di chi dichiara che non riuscirebbe ad affrontare una spesa imprevista di 5.000 euro (20% rispetto al 24% dello scorso anno) peggiora la «percezione della capacità di affrontare eventuali problemi come la perdita di lavoro o la perdita di autonomia di un componente della famiglia». Nomisma dice che «bisogna cominciare a guardare alla famiglia come ad un ecosistema socioculturale, specialmente dal momento in cui le “condizioni famigliari” interrogano il lavoro sociale, le associazioni e le istituzioni. È necessario, inoltre, sostenere la costruzione di legami con “nuovi vicini” che lavorino insieme per far fronte a una sfida comune: investire per una cura ricostituente di una fiducia concreta legata a diversi contesti di vita». Come i “volontari a domicilio” capaci di assicurare una particolare attenzione alle persone più fragili. 

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Il Mattino