Sulla morte di Mario Paciolla ci sarebbero stati «strani comportamenti» dei funzionari delle Nazioni Unite nel Paese «che rivelerebbero l'intenzione di...
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Il 24 luglio, «le Nazioni Unite hanno inviato a Roma con il corpo di Paciolla un inventario non firmato delle cose raccolte nella sua residenza a San Vicente del Caguán e hanno informato la famiglia Paciolla che erano state bloccate in Colombia per ordine della Procura, che il 30 luglio è riuscita a revocare l'immunità per gli elementi digitali della proprietà della missione che erano stati assegnati a Mario». A queste azioni, «che secondo l'avvocato della famiglia Paciolla Motta, Germán Romero, implicano una violazione da parte delle Nazioni Unite dei diritti alla privacy del volontario e il diritto di accesso alla giustizia per la famiglia, si aggiungono un serie di messaggi che hanno rafforzato la sensazione di silenzio all'interno della Missione», sostiene El Espectador.
Tra queste, «durante i quattro giorni successivi alla morte del volontario, il quartier generale della missione a Bogotá ha inviato tre e-mail in cui ha sottolineato agli oltre 400 funzionari e cooperanti nazionali e internazionali l'obbligo di mantenere la riservatezza e il divieto di concedere interviste e dichiarazioni ai media» sulla vicenda. Sebbene si sappia poco sulle ore e sui giorni precedenti alla morte di Paciolla, la giornalista Claudia Julieta Duque «è stata in grado di stabilire che il 14 luglio, poche ore prima della sua morte, Mario Paciolla ha stabilito una comunicazione telefonica con il collegamento della sicurezza della Missione di verifica a San Vicente del Caguán, Christian Thompson. Secondo diversi funzionari Onu, tale chiamata è di per sé allarmante». L'articolo conclude che sulla vicenda, la procura colombiana «attende i risultati delle due autopsie di Mario Paciolla», riferendo che l'ultima sarebbe stata «effettuata il 27 Luglio a Roma», e che non si esclude alcuna ipotesi sulla morte del cooperante. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino