Napoli, ferita nella stesa mentre era affacciata al balcone: «E adesso ho paura di tornare a casa»

Napoli, ferita nella stesa mentre era affacciata al balcone: «E adesso ho paura di tornare a casa»
«Ho visto la morte con gli occhi. Ringrazio Dio perché oggi mi sento una miracolata. Per ora non voglio tornare a casa, a Forcella». All'uscita...

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«Ho visto la morte con gli occhi. Ringrazio Dio perché oggi mi sento una miracolata. Per ora non voglio tornare a casa, a Forcella». All'uscita dall'ospedale Loreto Mare, ieri mattina, Anna Celentano ha continuato a ripetere queste parole a parenti e amici con gli occhi lucidi. Quel proiettile vagante che l'ha colpita ad una gamba - mentre era affacciata al balcone di casa per prendere un po' di fresco nella serata afosa calata sui vicoli del centro storico - avrebbe potuto stroncarle la vita.

 
Ieri mattina, una volta dimessa dall'ospedale, proprio non se l'è sentita di tornare in via Vicaria Vecchia. Protetta dall'affetto di figli, sorelle e nipoti, la donna ha scelto di passare la convalescenza altrove, in casa di alcuni parenti. Anna Celentano abita al primo piano del civico 12 di via Vicaria Vecchia: le sue finestre guardano giusto in quelle dove abitava la povera Annalisa Durante, massacrata da una pioggia di proiettili la sera del 27 marzo 2004; per uno di quei beffardi giochi del destino, la signora Anna ha rischiato di diventare la seconda vittima innocente di una strada che, soprattutto dopo una certa ora, si trasforma in un vero e proprio percorso di guerra. «Qui la sera fa veramente paura», conferma una delle amiche della Celentano.

«Lungo questa strada - ha poi raccontato, ancora in stato di choc, la vittima innocente del raid armato di lunedì notte - sfrecciano continuamente moto e scooter. Ero al balcone quando ho avvertito come una fitta, un dolore improvviso: sembrava quasi la puntura di uno spillo, ma più forte. Poi un bruciore tremendo. Solo qualche secondo dopo, vedendo il sangue, ho capito cos'era successo. No, non avrei immaginato che da uno di quegli scooter avrebbero sparato verso l'alto. E poi io sto al primo piano...».
 
Via Vicaria Vecchia è la spina dorsale di Forcella. Imboccandola dal lato di via Duomo, al di là dell'ormai famoso murales che raffigura San Gennaro, si dipana in leggero pendio prima di trasformarsi in via Giudecca Vecchia intersecandosi con Pietro Colletta. Una casbah di vicoli stretti che riescono a trovare luce solo a mezzogiorno, quando il sole raggiunge lo zenit sul Golfo. Al di qua e al di là, su entrambi i lati di Vicaria Vecchia ci sono le mille stradine dello spaccio, anguste come trappole che viene paura di attraversale anche solo a guardarle dall'esterno. È questo il regno dei nuovi baby criminali di Forcella, qui si trovano i loro quartieri generali, le case disabitate agli ultimi piani di palazzi ancor oggi ingabbiati dalla ragnatela di tubi innocenti che risalgono al dopo terremoto del 1980.

Per tanti turisti che sciamano ogni giorno questo è luogo di folklore; per chi è costretto a viverci - e sono tante le persone perbene, oneste - Forcella è diventata una prigione. «Portiamo a casa i bambini prima del tramonto - spiegano due giovani mamme ferme ad un caffè di piazza Miraglia - ma da qualche tempo la paura ci prende anche di giorno. E non vogliamo pensare a quando, tra poco, riapriranno le scuole».

Il guaio è che, quando poi si insiste nel far domande, quando gli interlocutori intuiscono di trovarsi di fronte un giornalista, la voglia di parlare si esaurisce. Eppure ci vuol veramente poco a capire che l'ultimo drammatico raid armato resti ancora l'argomento centrale delle conversazioni dei forcellesi. Purché non spuntino taccuini, registratori o macchine fotografiche.

L'agguato-stesa di lunedì notte tiene banco nelle salumerie, nei circoli ricreativi, dinanzi le eterne bancarelle che vendono sigarette di contrabbando, e naturalmente nel cuore di quei vicoli tetri costellati da «bassi» un tempo dimora dei più disperati, ed oggi umidi tuguri destinati ai nuovi poveri di Forcella: gli extracomunitari africani che per dormire sotto un tetto in cinque e spesso anche in sei pagano cifre da capogiro ai padroni di «casa». Qua e là, in questo dedalo di stradine, stanno comparendo anche i bordelli con i materassi lerci sui quali, ad attendere i clienti, ci sono giovanissime nigeriane.


Ecco, nelle conversazioni rubate in strada tornare il raid che ha portato al ferimento della signora Celentano. Ed è un tourbillon di chiacchiere, ricostruzioni più o meno veritiere: «Teneva il casco in testa, quello che ha sparato», dice uno; «No no, io l'o visto in volto, ma non te lo dico chi era», sussurra un omaccione tatuato all'amico. «Quelli là sono venuti per fare il servizio (per ammazzare, ndr) si lascia scappare un signore di mezz'età che gioca a tressette all'esterno di un circolo con gli amici. Lanci un'occhiata all'interno di quello stanzone e sulle pareti ormai scrostate ti colpiscono due scritte a vernice rossa: «Forcella regna» e «Fine pena mai». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino