La lunga cicatrice che scorre sul collo è ancora rossa. Ci vorrà tempo prima che si schiarisca al punto da diventare un segno poco visibile. Quello che...
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Il ragazzo si concede a selfie e sorrisi, ma resta un po' sulle sue per una timidezza dovuta probabilmente a quei duemila estranei che sono arrivati in piazza del Plebiscito per lui. Non si è allontanato un attimo dal papà Vittorio, e ha percorso l'intero tragitto insieme a lui, con la pettorina numero 1 e 2. L'esperienza drammatica ha avuto la capacità di riavvicinarli molto. Da quando è uscito dall'ospedale, infatti, vive lontano da quella via Foria che si è sporcata del suo sangue. Tempo fa ha anche dichiarato che una volta diplomato andrà a studiare lontano da Napoli. «Ci sto ancora pensando, ma vediamo. Per ora non cambio idea perché credo di sentirmi più sicuro altrove. Certo, tutte queste persone in piazza mi fanno coraggio, però serve un coraggio ancora più imponente» riesce a dire.
Più volte lo chiamano sul palco per lanciare messaggi, offrire stimoli alla folla che è corsa lì solo per lui, per rivederlo sorridere e sperare in un futuro migliore. «Ringrazio tutti, siete straordinari» dice con la voce graffiata ancora dalle lesioni che le sedute di logopedia stanno migliorando di giorno in giorno. «La maratona continua Arturo - è stata un enorme successo. Tutte queste persone avrebbero potuto scegliere di andare al mare, visto che è domenica e fa caldo, ma invece sono qui. Mi emoziona tutta questa partecipazione, ed è lo spunto per una riflessione importante: oggi a Napoli è accaduta una cosa importante. È stato un test di comunità, la dimostrazione che quando non c'è nessun fine personalistico, la gente si fa avanti. Spero che Corri contro la violenza possa essere una spinta per questa città, per far capire a ogni singolo cittadino che è chiamato a fare qualcosa per il bene del prossimo».
Un gruppo di runner lo circonda per una foto insieme «perché è un esempio. Questo ragazzo ha dimostrato di avere un grande coraggio. Sfido chiunque a sentire le lame di un coltello nel proprio corpo per venti volte, il sangue che scorre e la vita che si affievolisce, e poi riprendersela tutta indietro, ripartire, ricominciare. È sopravvissuto alla violenza e non serba rancore. Dopo appena cinque mesi corre una maratona e sfida le sue paure. Arturo è un giovane uomo che costruirà un grade futuro per Napoli». Dietro al palco c'è anche la nonna. Emozionata, con gli occhi lucidi, guarda quel nipotino che sentiva di aver perso e che ora si è ripreso i suoi diciassette anni con grinta e la forza dell'amore familiare. Sul palco sale Emanuele, il sedicenne aggredito appena una settimana fa. Ha una garza sul viso che copre la cicatrice che gli ha procurato un coetaneo con un coltello a Scampìa. Ha ripreso a sorridere in fretta anche lui, e l'applauso dei duemila che affollano piazza del Plebiscito è anche per lui. E per Gaetano, il sedicenne aggredito nei pressi della metropolitana di Piscinola a gennaio da un branco di coetanei che senza un motivo l'hanno riempito di schiaffi, pugni e calci al punto da spappolargli la milza. E come loro tanti altri ragazzi, come conferma dal palco Carmine Pecoraro, direttore Emergenze e Accettazione dell'ospedale Santobono, che tra l'altro è responsabile anche del Pronto soccorso: «Questa iniziativa è molto importante, perché sono testimone da un osservatorio speciale che la violenza c'è e dobbiamo contrastarla. Purtroppo al nostro Pronto soccorso vediamo con frequenta assolutamente allarmante, bambini vittime di violenza sui quali siamo chiamati a intervenire. Quindi se questa maratona può servire a scuotere le coscienze, ben vengano iniziative del genere». Arturo ascolta e annuisce: «Cerco di non pensare a quel pomeriggio. Agli altri ragazzi aggrediti posso solo consigliare di buttarsi tutto alle spalle il prima possibile. So di essere solo uno di una lunga serie, e purtroppo ce ne saranno ancora». L'amarezza di una consapevolezza dura da mandar giù rabbuia il giovane che oggi sarà in Procura per l'incidente probatorio: dovrà raccontare tutto di quel tragico pomeriggio, ricordare ogni cosa. Ma ci pensa Mario Forlenza, direttore generale Asl Napoli 1 Centro, a fargli tornare il sorriso urlando dal palco: «Siamo tutti Arturo».
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Il Mattino