Una vera e propria stamperia di etichette contraffatte è stata scoperta dai finanzieri del comando provinciale di Bologna a San Giuseppe Vesuviano, in provincia di Napoli....
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I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bologna hanno quindi dato esecuzione, nelle province di Bologna, Parma, Ferrara, Verona, Brescia, Bergamo, Torino, Macerata, Napoli e Nuoro, ad un provvedimento di perquisizione emesso dalla Procura della Repubblica di Bologna nei confronti di 26 soggetti italiani, senegalesi e marocchini, facenti parte di una ramificata organizzazione criminale dedita all’importazione, produzione e commercializzazione di capi d’abbigliamento ed accessori di moda contraffatti. L’operazione ha visto l’impiego di oltre 150 finanzieri. Le indagini, condotte anche tramite intercettazioni telefoniche e telematiche, supportate da servizi di pedinamento, osservazione e controllo, hanno preso le mosse dal monitoraggio di alcuni soggetti operanti nelle province di Bologna, Ferrara, Macerata, Brescia e Nuoro che proponevano via internet la vendita di capi di abbigliamento e accessori dei più famosi brand di moda come Chanel, Louis Vuitton, Balenciaga, Lacoste, Ralph Lauren, Gucci, Fred Perry, Moncler. Nello specifico, attraverso la sezione Marketplace di Facebook e diversi siti web di annunci di compravendita, commercializzavano sia all’ingrosso che al dettaglio, merce contraffatta su tutto il territorio nazionale.
Sui social network venivano creati appositi gruppi all’interno dei quali veniva pubblicizzata la merce esplicitamente indicata come non originale. I potenziali acquirenti contattavano gli amministratori del gruppo e, dopo aver ricevuto specifiche indicazioni da questi ultimi, effettuavano gli ordini dei prodotti che venivano spediti dai venditori subito dopo l’avvenuto pagamento effettuato tramite Paypal, versamento su PostePay o bonifico bancario. Le attività investigative hanno poi permesso di accertare come i venditori on line si approvvigionassero dei capi contraffatti o importandoli direttamente dalla Turchia e dalla Cina oppure rivolgendosi ad una ben organizzata e specializzata rete di produzione, costituita da cittadini italiani e senegalesi con varie ramificazioni sul territorio nazionale, che provvedeva ad acquistare capi neutri, privi di marchio, che poi venivano assemblati e rifiniti all’interno di laboratori clandestini nelle province di Bologna e Brescia, attraverso l’apposizione di minuteria metallica e loghi dei vari brands che venivano prodotti in provincia di Brescia e Napoli. Proprio a San Giuseppe Vesuviano, appunto, venivano stampate le etichette. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino