Spalletti da don Merola: «Offro il premio Bearzot per aiutare i tuoi ragazzi»

I cinquemila euro del premio Bearzot devoluti dal tecnico del Napoli alla fondazione di don Merola A' voce d''e creature

Don Luigi Merola
«È stato un colpo di fulmine. Sai, quando incontri una persona che segna il cammino della tua vita, uno di quei riferimenti per i ragazzi di oggi che possono...

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«È stato un colpo di fulmine. Sai, quando incontri una persona che segna il cammino della tua vita, uno di quei riferimenti per i ragazzi di oggi che possono più di mille parole ed altrettanti discorsi». Don Luigi Merola non ha dubbi. Gli parli di Luciano Spalletti e gli occhi si illuminano. I cinquemila euro del premio Bearzot devoluti dal tecnico del Napoli alla fondazione di don Merola A' voce d''e creature paradossalmente sono un corollario rispetto al messaggio. «Serviranno a comprare maglie, palloni, aggiustare i campetti e mettere in condizione qualche ragazzo di imparare le arti bianche, vale a dire il mestiere di pizzaiolo». Vale di più la testimonianza.

A' Voce d''e creature nasce nella storica Villa di Bambù, il boss Raffaele Brancaccio, ragioniere del clan Contini, clan di spicco negli anni 80/90. È stata sequestrata a fine degli anni 90, confiscata nel 2006 e riassegnata al Comune di Napoli nel 2007 e data in comodato d'uso gratuito nel dicembre 2007 alla Fondazione a voce d''e creature, ente di prevenzione e recupero della devianza minorile. Nasce dalla consapevolezza che la civiltà di una città, nazione o territorio, si misuri dal rapporto con i suoi bambini. I suoi scopi possono essere raggruppati in tre filoni: il primo ha ad oggetto la realizzazione di interventi di recupero ai percorsi scolastici e di contrasto in tutte le forme possibili alla dispersione scolastica; il secondo ha per oggetto interventi e progetti finalizzati all'erogazione di servizi assistenziali, di aggregazione sociale e integrazione culturale. Il terzo scopo della Fondazione è quello di fornire strumenti necessari alla collocazione occupazionale dei giovani, che attraverso la formazione di nuove figure professionali e il recupero di antichi mestieri e professioni artigiani possano essere inseriti nel mondo del lavoro. 

Quartiere Arenaccia- Poggioreale, duecento ragazzi e quindici operatori. Semiconvitto e una idea: «Con i campi di calcetto si sottraggono i ragazzi alle babygang». Una idea entrata dritto al cuore di Luciano Spalletti. Padre Merola racconta: «Ci siamo incontrati di una persona lo scorso anno allo stadio. Ogni volta che è possibile porto alcuni ragazzi a vedere le partite del Napoli. L'ultima volta è stato contro l'Eintracht Francoforte. Non abbiamo mai avuto la possibilità di parlare a lungo, ma sempre due chiacchiere di sfuggita. Lui si è interessato alla nostra fondazione grazie ad un amico comune. Dopo aver vinto il premio e deciso di donarlo alla voce d''e creature mi ha chiamato: Tu dici sempre che non vuoi tifosi ma giocatori per il tuo campionato. Ecco, io voglio essere un giocatore, non un tifoso. Una frase che è andata dritta al cuore perché ha capito perfettamente il nostro spirito». Spalletti un «personaggio positivo», uno di quelli da indicare come esempio. «Ho il suo numero di cellulare che non darò neanche sotto tortura. Mi ha chiesto di venire a farci visita per toccare con mano il lavoro che facciamo. I ragazzi sono in fibrillazione». La Fondazione nata dopo l'omicidio di Annalisa Durante a Forcella. «Una volta erano le parrocchie che avevano il compito di togliere i ragazzi dalle tentazioni della strada. Oggi non è più così. E il nostro spirito è usare il calcetto per dare una alternativa di vita ai ragazzi che il pomeriggio possono essere qui. Studiano e fino a sera capiscono che esiste un altro tipo di vita». 

Napoli, il Napoli. Uno scudetto che va oltre il valore del campo. «Questo scudetto sta servendo a ricostruire la città come comunità riuscendo anche a ricucire rapporti tra quartieri, tra persone. Penso alle rivalità esistenti a Forcella e come ora Spalletti interpreti il nostro San Gennaro. Un Napoli che è riuscito a regalare ad una comunità un sogno comune travalicando steccati e diffidenze». Un premio che ha dato ancor più luce alla Fondazione: «Non usufruiamo di finanziamenti pubblici - conclude don Merola - ma solo delle donazioni private e da 17 anni ce la caviamo con l'aiuto della provvidenza. Avremmo bisogno di più educatori ma quello che possiamo fornire sono solo dei contrattini a termine. Certo se un imprenditore privato potesse aiutarci aumenteremmo prima di tutto il numero degli educatori. Solo mantenendo aperte strutture come queste si possono contrastare i clan e fornire una opportunità ai ragazzi». 

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Il Mattino