Strage nel palazzo crollato a Torre Annunziata, perché quattro condanne

Uno striscione all'esterno del tribunale con una richiesta precisa: «Giustizia». Ieri è arrivata la sentenza di primo grado per il crollo di Rampa...

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Uno striscione all'esterno del tribunale con una richiesta precisa: «Giustizia». Ieri è arrivata la sentenza di primo grado per il crollo di Rampa Nunziante, la tragedia che il 7 luglio 2017 causò otto vittime. Da quattro anni e due settimane gli striscioni con i nomi e i volti dei piccoli Salvatore e Francesca Guida, dei genitori Pasquale e Anna Duraccio, e ancora del giovane Marco Cuccurullo, del papà Giacomo, della mamma Edy Laiola e della sarta Pina Aprea campeggiano all'esterno del tribunale di Torre Annunziata.

Poco dopo le 18, il giudice Francesco Todisco ha emesso il verdetto. Quattro persone sono ritenute responsabili del crollo colposo del palazzo al civico 15 di Rampa Nunziante e di omicidio colposo plurimo. Pena più severa per Gerardo Velotto, proprietario dell'appartamento in cui erano in corso i lavori maldestri che, secondo l'accusa, hanno causato il cedimento strutturale dell'edificio: per lui è arrivata la condanna a dodici anni e mezzo di reclusione. Condanna a dodici anni per l'architetto Massimiliano Bonzani, ritenuto il direttore dei lavori «occulto» e che, secondo l'accusa, avrebbe provato a fornire anche un falso alibi con alcuni tabulati telefonici incompleti, spiegati in extremis ieri durante l'udienza. Undici anni per l'altro architetto Aniello Manzo, anche lui impegnato nei progetti messi in opera, poi, dal «mastro» operaio Pasquale Cosenza, condannato a nove anni e mezzo.

Per la tesi dell'accusa pm Andreana Ambrosino, consulenza firmata dal professor Nicola Augenti la rimozione di alcuni tramezzi in quell'appartamento al secondo piano causò l'indebolimento della struttura, che collassò all'alba di quel maledetto venerdì di quattro anni fa. Un cumulo di polvere e macerie seppellì per sempre otto persone che dormivano al sicuro nella loro casa. Le indagini portarono a scoprire che in realtà quel palazzo era sconosciuto al catasto, totalmente abusivo, con una mole di documenti falsi.

Assolti dalle accuse di omicidio colposo plurimo e crollo colposo gli avvocati Massimiliano Lafranco (che aveva promesso in vendita la casa a Velotto) e Roberto Cuomo, amministratore di condominio del palazzo che, nell'ormai triste e famosa riunione condominiale del giorno prima del crollo, si affidò al parere di tre architetti Bonzani, Manzo e proprio la vittima Cuccurullo che lo tranquillizzarono sui lavori da fare. I due penalisti, però, sono stati condannati a un anno e due mesi (pena sospesa) per i falsi nella documentazione dell'edificio. Per l'accusa di falso ideologico sono stati condannati ad un anno ciascuno sempre con pena sospesa le loro mogli Rosanna Vitiello e Ilaria Bonifacio, e Mario Cirillo e Marco Chiocchetti. Assolti gli altri imputati Roberta Amodio, Rita, Donatella e Giuseppe Buongiovanni, Emilio Cirillo e Luisa Scarfato.

Un processo complesso «con 120 testimoni commenta il presidente del tribunale, Ernesto Aghina è stato gestito con adeguata professionalità ed esperienza seguendo un calendario che ha visto la celebrazione, dal marzo 2019, di ben 40 udienze, di cui alcune svolte presso l'aula bunker di Napoli durante la pandemia». «Sebbene sia solo una decisione di primo grado la sentenza emessa afferma il procuratore Nunzio Fragliasso conferma la correttezza e la bontà del lavoro investigativo svolto dalla Procura e costituisce il miglior riconoscimento dell'impegno profuso dapprima nelle indagini, unitamente al procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, e successivamente al dibattimento dalla collega Ambrosino. Questa sentenza, pur non potendo rimarginare una ferita ancora aperta, che ha segnato profondamente la città, è sicuramente una risposta alla domanda di giustizia della collettività oplontina, pervenuta in termini contenuti, a soli 4 anni dal crollo». Al termine dell'udienza, tra le lacrime di alcuni parenti delle vittime, l'unico imputato presente Velotto è stato avvicinato e aggredito verbalmente da alcuni di loro. «Te li porti sulla coscienza, devi morire anche tu». L'imponente dispiegamento di forze dell'ordine polizia, carabinieri e guardia di finanza ha evitato il contatto. I familiari delle vittime sono stati accompagnati all'uscita, mentre l'imputato è stato scortato a casa.

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Il Mattino