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Osvaldo Zubeldía, allenatore leggendario dell’Estudiantes de la Plata, amava a tal punto il raggiungimento dei risultati che dopo l’uno a zero si preoccupava solo di controllare il gioco fino a spegnerlo. Luciano Spalletti è il suo contrario, sul tre a zero vuole ancora giocare, e soprattutto vuole scommettere su due tavoli, anzi campi.
«Ci sono dei momenti nella vita in cui si raggiungono risultati e bisogna riflettere: o ci si accontenta o si prova a raddoppiare. Noi non abbiamo dubbi, abbiamo deciso di raddoppiare e ci vogliamo giocare tutte le partite per i nostri tifosi». Il raddoppio riguarda la Champions League, in pratica sta soppalcando il sogno scudetto. Ed è un bene. Anche perché il Napoli, come l’Atalanta, da anni persegue l’estetica del calcio parlando un linguaggio europeo, e ora è arrivato il momento di accelerare. Giocando un calcio diverso dalla tristezza del campionato italiano. È evidente a tutti che si sia aperto un varco per il Napoli, come accade per Indiana Jones, e Spalletti da padre e patriarca, come Sean Connery nel film di Spielberg dica a tutti: «Devi credere, figlio mio, devi credere».
La Champions League è il Graal. Con la sua dichiarazione, Spalletti, esce anche dalle ombre del vittimismo napoletano che tanto piacciono alla narrazione italiana, supportate dagli attori, intellettuali e cantanti sbagliati, e negli anni anche da altri allenatori.
È stato questo il merito del Napoli in questi anni: produrre un calcio arioso, mai sparagnino, nonostante le ganasce di Rino Gattuso, persino durante la sua parentesi si è conservata la scintilla di gioco che strizza l’occhio all’estetica, fino a farne temperamento. Spalletti sta facendo da enzima tra bellezza e risultati, e ora raddoppia: si fa enzima tra bellezza e Champions. E lo dichiara come si fa a biliardo, «otto in buca d’angolo» come se fosse «Champions dietro la curva», senza nascondersi, col coraggio che gli viene dalla consapevolezza del gioco e dei risultati. È come se stesse dimostrando che anche la bellezza del Napoli può essere una forma di efficacia, proprio come è accaduto ad altre squadre in passato. Quello che sembrava discrepanza sta diventando forza, e questa squadra che pareva non avere idoli mediatici, ora si ritrova con un attacco che provoca stupore – Kvaratskhelia-Osimhen – e si diverte, a prescindere dal risultato. Con una solida difesa guidata da un sudcoreano, e dei terzini da Liverpool di Jürgen Klopp. Poi, ovvio, per la vittoria vale quello che diceva Marilyn Monroe: «meglio piangere in una Rolls Royce che in un tram affollato».
Insomma, le dichiarazioni di Spalletti, spazzano via i detriti della prudenza, il camminare sotto al muro, cambiando la forma cambia anche la sostanza, appoggia il cuore alla pancia, e dice che non ha paura dell’Eintracht Francoforte, squadra quadrata, ma non imbattibile. In fondo è con la Germania che si misura l’Europa non solo calcistica: stare, non stare, andare oltre o essere rimandanti a casa. E se è vero che le dichiarazioni di coraggio tonificano i tedeschi, è anche vero che il Napoli è nettamente più forte. E deve ricordarsene come fa Spalletti, che a sua volta deve ricordarsi del primo Barcellona di Cruijff che era una officina di meccanici silenziosi.
Il Mattino