«Il 23 febbraio è stato il mio ultimo giorno di lavoro al Pio Albergo Trivulzio. Indossavo la mascherina, perché avevo tosse, raffreddore e anche la febbre. Mi...
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Cosa è successo quel giorno?
«Mi sentivo male, tossivo e starnutivo. Perciò un’infermiera mi ha consigliato di indossare una mascherina, dato che da poco si era diffusa la notizia del primo caso di coronavirus. Così ho fatto e quando ho incontrato una ragazza che fa le pulizie, anche lei con la tosse, lo ho suggerito di mettersi la mascherina. Mi ha ascoltato ma poi, verso mezzogiorno, è venuta da me e mi ha detto di toglierla subito, perché era stata sgridata e minacciata di licenziamento se l’avesse tenuta un minuto di più».
Lei però non lo fece.
«Come avrei potuto? Era a repentaglio la salute dei miei assistiti. Dovevo portare la frutta ai malati, rischiavo di contaminarla. Proprio mentre davo da mangiare ai pazienti è arrivata una dirigente: “Che cosa ci fai con la mascherina? Toglila subito”. Io rispondo: “È per proteggere i degenti”. Lei si infuria: «Così si crea allarmismo con i parenti. Se hai la tosse stai a casa». Adesso nel mio reparto sono morti tre pazienti e altri sono isolati. Hanno perso la vita persone anziane, è vero, ma stavano bene, avevano davanti a loro ancora cinque, dieci anni di vita. A un paziente deceduto hanno fatto il tampone troppo tardi: se fosse stato eseguito prima, poteva sopravvivere».
Pronta a tornare in servizio?
«Sì, a maggio rientro. Ma temo ritorsioni. È assurdo, ho indossato la mascherina da regolamento e sono stata cacciata. Sono molto affezionata ai miei pazienti, ne accudisco venti e quindici sono lucidi, parliamo e scherziamo. Li lavo al mattino, do loro da mangiare, mi raccontano delle storie. I parenti hanno il mio numero, mi chiamano per sapere come stanno. Un uomo ha perso tre giorni fa la mamma per il virus: non ha potuto nemmeno rivederla». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino