Conte trema, dalla giustizia ai migranti i 5 temi su cui si può aprire la crisi

Conte trema, dalla giustizia ai migranti i 5 temi in grado di far saltare la maggioranza
La parola “verifica” non l’ha ancora pronunciata nessuno, ma il vertice pomeridiano a Palazzo Chigi molto ci somiglia. Tra il presidente del Consiglio Giuseppe...

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La parola “verifica” non l’ha ancora pronunciata nessuno, ma il vertice pomeridiano a Palazzo Chigi molto ci somiglia. Tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Italia Viva non scorre buon sangue sin dal primo giorno e al gioco al rialzo dei renziani il premier ha sinora contrapposto un muro di gomma. Con il M5S allo sbando, diviso in molteplici correnti e capibastone e un Pd che evoca responsabilità, Conte si è forse illuso di poter riuscire a svolgere il suo ruolo da premier vestendo i panni del buon padre di famiglia. Ma in ogni governo di coalizione ogni partito ha il suo peso e lo rivendica. Ne sa qualcosa Silvio Berlusconi quando per cinque anni ebbe molto a che fare con l’Udc, e Romano Prodi che dovette sempre fare i conti con l’ala sinistra della sua coalizione. 

 
Ora, lo schema si ripete in uno scenario devastato dalle conseguenze economiche del virus che nei giorni scorsi hanno costretto palazzo Chigi a fermare la stesura del decreto-aprile in modo da sentire cosa avessero da dire le parti sociali. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti è tornato a dire che dopo l’attuale governo ci sono solo le urne, ed è probabile che, a differenza della scorsa evocazione, stavolta non venga smentito dal Colle più alto dove già si è fatto sapere che nemmeno il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari impedirebbe un ritorno al voto. E però la tentazione di votare, avendo a disposizione 915 posti tra Camera e Senato, e non la metà prevista dalla riforma, potrebbe tramutarsi in una tentazione non da poco.

La Lega ha pronta una mozione di sfiducia nei confronti del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Italia Viva ha inserito il tema tra i punti da chiarire con il premier. Se tutto il centrodestra e i renziani dovessero votare per la sfiducia, Bonafade sarebbe costretto alle dimissioni. Forza Italia è però da sempre contraria alle mozioni di sfiducia individuali e quindi i numeri potrebbero non esserci. Ma Bonafede è anche il capo delegazione del M5S, un pezzo da novanta del Movimento è solo votare a favore della sua rimozione, significa sfiduciare il governo e lo stesso Conte che nei giorni scorsi ha difeso il Guardasigilli.
 
Il decreto-aprile si è ormai trasformato in un decreto-maggio che verrà approvato a giugno. Il varo definitivo in Consiglio dei ministri è atteso in settimana, ma le posizioni sono distanti e non solo per le posizioni di Italia Viva. Anche il Pd ha molto da ridire sulla visione super assistenzialista dei grillini. Soldi a pioggia sotto forma di reddito di cittadinanza che hanno fatto irritare Confindustria. Visto come sta andando con il decreto liquidità, assediato ora da oltre mille emendamenti della maggioranza, occorrerà vedere come andrà in Parlamento dove pezzi della maggioranza potrebbero unirsi a parte dell’opposizione e modificare molte norme.

Sulla sanatoria dei migranti, che le imprese agricole del Nordest reclamano, sono usciti allo scoperto i nostalgici grillini dell’alleanza con la Lega di Matteo Salvini. Vito Crimi è tra questi, ma dietro la figura del reggente si intravede quella di Luigi Di Maio. La spaccatura nel M5S è forte. Teresa Bellanova ha messo sul piatto le sue dimissioni da ministro e una bocciatura porterebbe Iv fuori dal perimetro di governo.
 
Con il decreto in faticosa gestazione i soldi a debito sono finiti. Se nei prossimi mesi ne serviranno altri, come è certo, in attesa dei Recovery Fund non resta che il Mes. Qui la partita  molto somiglia a quella giocata da Conte sulla Tav. Nell’analisi costi-benefici un Mes senza condizioni conviene all’Italia anche perché la Bce, dopo la sentenza della Corte tedesca, è sotto pressione. I grillini però sono fermamente contrari anche se qualche spiraglio ha aperto la componente governativa del Movimento. Il problema per il governo è che per attivare il Mes occorre un voto del Parlamento, dove i grillini avvertono molto il peso della propaganda sovranista della Lega.


La Cina resta nel cuore dei grillini. Alessandro Di Battista lo ha ripetuto di recente. Per l’Italia un asse stretto con Pechino è impossibile da praticare, ma la posizione indebolisce di molto il nostro Paese nello scacchiere europeo e Atlantico. L’accordo stretto con la via della Seta potrebbe quindi tornare in ballo su pressione di Washington. Basterà una mozione in Parlamento per rimetterlo in discussione e i voti che mancano, qualora il M5S dovesse dire di no, non mancheranno. Senza unità sulla politica estera è però difficile che un governo possa andare avanti. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino