Doveva succedere, ed è successo, naturalmente sulle note di «Curnutone», suprema trivial song, volgarissima serenata, pornoromantico concentrato di rabbia...
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Come?
«Era il 1993, credo, Pace già non c'era già più e Cerruti, il napoletano doc del quartetto, ex di Mina, pensava potessi essere la voce giusta per un nuovo album, ma io stavo lavorando con Bigazzi per andare a Sanremo dove arriverò nel 1996 con Sulla porta: i due avevano litigato, così non se ne fece niente, è una delle mie grandi occasioni perdute».
Dischi come «Troia», «Palle», «Vacca», «Pompa», «Cappelle», «Tromba», «Mutando», «Arrapaho», «Uccelli d'Italia», «Tocca l'albicocca», con copertine ancora più esplicite dei titoli, hanno svezzato una generazione, sia pur di nascosto. Portavano quegli lp alle feste nascondendoli tra Clash e Ramones, tirandoli fuori solo quando i genitori non potevano vederli, quando i compagni più bacchettoni o militanti erano distratti e non minacciavano ramanzine.
«È vero. Lo racconto in versi: E ora mio figlio mi chiede perché/ ho gli occhi pieni di lacrime/ perché quel disco mi ricorda sì/ di quella stronza della terza B./ Quando gli Squallor cantavo al liceo/ con la chitarra sui miei blue jeans/ quanti racconti e note mi beccai/ ma per la prima volta mi innamorai».
A chi degli Squallor sa solo che furono censuratissimi per i loro testi irriferibili, e oggi ancor più politicamente scorretti di ieri, potrebbe sembrare strano collegarli ad un innamoramento.
«Gli ultimi versi di quella mia poesia-dedica spiegano bene il mio punto di vista: Generazione bastarda la mia/ noi degli Squallor saremo la scia/ perché il pretesto della volgarità/ è forse il primo segno della volgarità».
Ci credi davvero?
«Un po' sì, ed è in quella scia, oltre che in quella del supremo Totò, che iniziai ai tempi dei battibecchi tra Federico e Salvatore, il lazzaro e il signorino di Incidente al Vomero. È in Curnutone che trovo, e rubo, il mio grido di battaglia, azz, e le poche rime possibili».
Eppure a un certo punto ti eri stancato di essere il cantante tamarro e hai scelto la strada dell'invettiva, del teatro-canzone gaberian-sangennariano. Hai fatto pace con il tuo passato?
«Più o meno si, quando fai ridere scatta sempre il momento in cui vuoi essere preso sul serio. Oggi divido le due cose: da una parte Malalengua, con la mia produzione più recente e incazzata, dall'altra il disco con nove pezzi degli Squallor, ho scelto le canzoni più che i monologhi di Pierpaolo e sublimità simili, e cinque brani inediti miei, in sintonia, il tutto con gli arrangiamenti di Pippo Seno».
Forse Federico e Salvatore devono ancora darsi la mano.
«O forse è una maniera per non fossilizzarsi, per tenere un piede in due scarpe, due piedi in una scarpa. E, poi, Federico e Salvatore si fanno compagnia: come quelle degli Squallor, le mie prime canzoni erano nato ridendo e per far ridere, non pensando al supermercato della musica leggera, spietato allora, ma oggi molto di più».
Squalloreggerai anche dal vivo?
«Un pensierino l'ho fatto, vorrei mettere in piedi un progetto speciale, vediamo se ci riesco».
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Il Mattino