De Mita: incontri, tressette
e il rito dell'onomastico

De Mita: incontri, tressette e il rito dell'onomastico
di Aldo Balestra
Venerdì 27 Maggio 2022, 10:33
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«Andiamo a Nusco». Tre parole e Leonardo, il carabiniere autista, ombra di De Mita per decenni, sapeva che il presidente voleva tornare presto a casa. Dovunque si trovasse, il viaggio in auto che cominciava verso l'alta Irpinia per il presidente era vero toccasana dopo ogni evento politico. Perché questa villa su due livelli alla periferia di Nusco, in contrada Piano, anni 70-80, semplice taglio geometrico e prato all'inglese con fiori qua e là, è stata da sempre il buen retiro di De Mita. La tana. Qui, con la rovinosa caduta di febbraio, è però iniziato l'improvviso peggioramento delle sue condizioni di salute, qui dove oggi il feretro di Ciriaco riceve, in un caldo e silenzioso giorno di maggio che coincide con il settimo anniversario della prima elezione a sindaco di Nusco, l'ultimo omaggio di parenti e amici.

De Mita preferiva star qui, a Nusco, anche quando aveva l'altra casa, certo di maggior prestigio, a Roma: il superattico di via Arcione con vista sui giardini del Quirinale, oltre 200 metri quadrati su due livelli, inizialmente avuto in locazione dall'Inpdai quando era al vertice della Dc, e poi riscattato.

Oggi quella casa, prima fonte di polemiche per i lavori di ristrutturazione e dopo per lo stesso riscatto, non è più proprietà di De Mita. E poi il leader di Nusco aveva sempre il cuore qui, in Irpinia: pochi gradini per accedere al piano terra, sulla sinistra la zona studio, quella che De Mita amava di più. Libreria a vista, in legno, centinaia di libri tutti letti e chiosati, faldoni, ritagli di giornali. De Mita si rilassava leggendo, in quelle carte mai polverose c'era il suo mondo di studi classici, gli atti politici. «Io non smetto mai di leggere», aveva detto recentemente in tv, ricordando il valore della cultura.

E collegato al piccolo studiolo c'è un salottino: qui riceveva ospiti e giornalisti, appese al muro le foto con Reagan, con Gorbaciov, qualche vaso orientale ricordo dei viaggi da premier in Oriente, e un articolo di giornale in un quadretto. «De Mita si è arricchito con il terremoto», L'Unità del 3 dicembre 1988. Era il periodo di accuse violente della sinistra per la gestione del post sisma e i rapporti con la Banca Popolare dell'Irpinia. De Mita se la prese, querelò l'allora direttore Massimo D'Alema. Successivamente spiegò che D'Alema s'era scusato, dicendo che era stato omesso un punto interrogativo alla fine del titolo. Finì con la remissione di querela e un risarcimento simbolico di una moneta, per far la pace, finita in quel quadretto con tanto di firma.
Parla, quanto parla casa De Mita della storia privata di questo leader che amava la tana: amava il sentore del caffè preparato con la moka al mattino presto, quando riceveva ospiti e cronisti per interviste che duravano ore. E durante le quali non voleva essere disturbato. «Presidente, c'è Tizio al telefono, la vogliono». «Non c'è», rispondeva De Mita, con quella c pronunciata come fosse una g. Perché De Mita era selettivo assai, nei rapporti con le persone. Come, per esempio, con i giocatori di tressette e scopone. Proverbiali le partite con l'onnipresente Totonno Pagliuca e poi con Cenzino Sirignano: non volava una mosca. De Mita, ferrea memoria che ne avrebbe fatto da sempre la fortuna politica («tu sei figlio di....», diceva incrociando lo sguardo di militanti in piazza), ricordava tutte le carte. Ed era solito vincere. Sorridevano Erminio De Vito, quasi scorta civica di Ciriaco, e Nardino Ventullo.

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Tutti amici che hanno filtrato per anni ospiti e interlocutori politici. Gigetto Marzullo, grande amicizia con il leader, qui veniva liberamente. E persino il recente matrimonio del giornalista e conduttore Rai ha visto presente De Mita: non da ospite, ma come celebrante, sindaco di Nusco in fascia tricolore.
A Contrada Piano le estati erano particolarmente vivaci e festose. L'otto agosto, san Ciriaco, la villetta si trasformava in una sorta di santuario laico. Venivano ad omaggiare il presidente: processione di amici veri, politici, aspiranti tali e improbabili, adoratori vari, una fauna numerosa e composita. Poi, per pochi eletti, il pranzo in giardino: il primo a base di pesce era appannaggio del senatore napoletano Nello Palumbo, chef per un giorno. Dai Mazzoni arrivava la mozzarella di bufala e dai monti irpini il caciocavallo podolico. Una ventina di persone in tutto, gli eletti. È stato così, ogni 8 agosto, per decenni. Perché per De Mita le tradizioni che si rinnovavano erano convinzione che la vita andasse vissuta così, sino alla fine.

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