Quando gli antichi sanniti cominciarono a costruire l'antica Maleventum guardarono alla posizione meglio difendibile e alle opportunità concesse dalla presenza di due fiumi. Non potevano sapere che proprio sotto il Calore correva un sistema di faglie esteso circa 45 chilometri, che ne avrebbe fatto una delle regioni europee a più alta sismicità, causando almeno due violenti terremoti nel 1456 e nel 1688, entrambi di magnitudo intorno a 7.
Le faglie sono state ora individuate da un team composto da 11 ricercatori italiani e francesi, fra i quali ci sono Sabatino Ciarcia e Domenico Cicchella, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell'UniSannio, e viene descritta da un accurato studio pubblicato dalla rivista scientifica Quaternary Science Reviews.
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«Una scoperta dovuta a un lavoro interdisciplinare che ha messo insieme indagini dettagliate sul territorio, analisi di laboratorio e fonti storiche. Queste faglie sismogenetiche hanno un tempo di ricorrenza stimato di circa 1400 anni, però non sono facilmente riconoscibili sul terreno. Infatti, mentre nel settore telesino ci sono chiare evidenze morfo-strutturali, nell'area ad est di Benevento, al contrario, gli indizi di tettonica attiva sono completamente nascosti perché sepolti al di sotto dei terreni alluvionali». dichiara Ciarcia, presidente del corso di laurea magistrale in Geotecnologie per l'Ambiente, le Risorse e i Rischi di UniSannio.
Particolarmente importanti i risultati ottenuti presso la struttura di datazione di un laboratorio francese altamente specializzato, il "Laboratoire des Sciences du Climat et de l'Environnement di Gif-sur-Yvette", a 35 km da Parigi. I risultati hanno quindi evidenziato un sistema di faglie normali di circa 45 km lungo il Calore, composto da due rami principali: faglia orientale che poi si dirige verso Apice e faglia occidentale, diretta invece verso la valle telesina. Si tratta di un primo, importante passo avanti nella conoscenza geologica, che adesso dovrà essere accompagnato da ulteriori indagini capaci di ricostruire le «cicatrici» del territorio.
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L'identificazione e la mappatura precisa della fonte di questi due grandi terremoti consentiranno di condurre future indagini paleosismologiche, che potrebbero fornire prove definitive di rotture superficiali durante i terremoti e simili eventi precedenti. In ogni caso, qui è scritta la storia dei terremoti sanniti. Non solo di quelli più violenti, ma di tutta la sequenza sismica che ne ha accompagnato la storia degli ultimi 14mila anni, battendo un colpo più forte ogni 1.400 anni circa.
I danni
I terremoti menzionati nella ricerca sono i più violenti nella storia sannita, in entrambi i casi con una magnitudo 7, più forti quindi dell'ultimo grande sisma del novembre 1980. Nel 1456 le scosse si susseguirono nel mese di dicembre. Sant'Antonino, arcivescovo di Firenze che studiò l'evento, scrisse «non leggersi che tali e tanto veementi scosse giammai fossero state e di così vasta estensione». In città si contarono 350 morti e crollò fra gli altri edifici la basilica di San Bartolomeo, mentre fra i centri della provincia più colpiti ci furono Apice, Paduli e Tocco Caudio.
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Più particolareggiato il racconto del terremoto che colpì il Sannio nel primo pomeriggio del 5 giugno 1688. Una delle più importanti testimonianze dirette è quella del cardinale Orsini, miracolosamente sopravvissuto al crollo del suo alloggio. «Precipitai dal primo appartamento infino al granaio»: così scrive nel suo diario l'arcivescovo di Benevento, proseguendo «Rovinarono con la città tutte, tutte le chiese, e le case precisamente dalla parte del fiume Sabbato, dalla parte di Calore non fu tanta la rovina, ma le case che restarono in piedi rimasero tutte lese». In questo caso i morti in città furono circa 2.000, ed altrettanti nei paesi dell'arcidiocesi.