L'immagine di Napoli

Domenica 12 Ottobre 2014, 15:52
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Mai, come negli ultimi tempi, siamo stati tanto bombardati da documentari, programmi di approfondimento, salotti televisivi che propongono le loro letture su Napoli. Città senza facce, o da troppe facce. Città enigmatica, porosa, dove la penetrabilità, in pochi metri, tra diversi ambienti sociali, è storicamente consolidata. A Chiaia, in pochi metri, convivono i Quartierti spagnoli e via dei Mille. Ad un tiro di schioppo l'uno dall'altro. L'immagine di Napoli è nella serie di successo di Gomorra. Qui il male è sovrano, il protagonista è il boss della camorra su cui si riflettono, inevitabilmente, simpatie e sorrisi. Il male ha sempre il,suo fascino, specie in ambienti poco attrezzati culturalmente. Figuriamoci il male che diventa narrazione spettacolare, fiction a effetto dove tutto è esagerato. E, in questa serie tv, la camorra si fa Napoli. L'immagine di Napoli è nello speciale di Servizio pubblico sul Rione Traiano. Qui, dopo la morte di Davide Bifolco, l'adolescente ucciso in circostanze da accertare da un carabiniere, le telecamere vanno a caccia dell'illegalità. E hanno, quando la pesca è mirata, solo l'imbarazzo della scelta: le piazze dello spaccio di droga, le famiglie del clan che controlla il quartiere, i giovani tutti uguali sul motorino costoso, che guidano senza casco, con i loro tatuaggi, la frasi contro lo Stato e l'atteggiamento di chi ha qualche torto subito da vendicare.  L'immagine di Napoli è l'illegalità diffusa. Ma ci sono anche i Dieci comandamenti, il venerdì in tv. Qui l'immagine di Napoli è una plebe sottoproletaria, che si arrangia. Buonismo, accettazione, filosofia del tira a campare, in una semplicità del vivere che rinnega la violenza, coabita, rinnegandoli e non abbracciandoli, con i valori della camorra, giustificando il contrabbando di sigarette, la vendita abusiva, l'arrangiarsi. Almeno fanno campare. Meglio che andare a rubare, si ripete. L'immagine di Napoli è quella plebe, che nell'alibi della mancanza di lavoro, dello Stato assente, dell'arrangiarsi, riesce ad andare avanti. E fa studiare i figli all'Università, perchè per i figli si fa tutto, anche rischiare la galera. L'immagine di Napoli è negli occhi, privi di comprensione, ma pieni di disgusto e lontananza, di Vittorio Feltri. Nei talk show, non capisce e guarda con aria di schifo le immagini dei tatuati, dei senza casco, degli urlanti che giustificano, sempre e ovunque, le loro "trasgressioni" perchè "lo Stato non c'è". L'immagine di Napoli è nel volto e nei toni, pieni di dignità, della mamma di Ciro Esposito: Antonella Leardi. Vive nel quartiere di Scampia, nell'immaginario mediatico diventato ormai simbolo del male e dello spaccio. Eppure predica amore, comprensione, perdono. E chiede giustizia per il figlio ucciso da un supporter romanista, quel Gastone che blatera spiegazioni e scuse per aver tirato il grilletto della sua pistola, sapendo che avrebbe potuto uccidere. Spiazza il volto di Antonella, che non urla, non giustifica, non blatera parole senza senso. Anche mentre l'inchiesta stenta a fare chiarezza sulla morte del figlio. L'immagine di Napoli sono quella mamma (meglio senza nome) e quella suocera (meglio ancora senza nome), che giustificano figlio e genero 24enne che, "per scherzo" ha seviziato un quattordicenne con un compressore pieno d'aria che gli ha lacerato l'intestino. "Un gioco, uno scherzo", ripetono senza pudore. E lui, il ragazzo vittima, su Facebook augura "lunga vita al suo nemico".  Sembra la battuta, in quel caso piena di voluta amarezza, in "Natale in casa Cupiello", quando Lucariello giustifica il figlio che ha lanciato un piatto, con ira e stizzo, contro lo zio. "Il ragazzo ha scherzato", dice. E lo zio: "Ha scherzato, ha scherzato, ha scherzato?" (ripetuto tre volte). L'immagine di Napoli sono quelle schiere di intervistati che su ogni violenza, ogni reato, ogni protesta, ripetono fino all'inverosimile: "Manca il lavoro, che si deve fare. Non ci danno il lavoro". Poi si scopre che, quest'anno, 60mila posizioni altamente specializzate sono rimaste senza assunti nelle aziende italiane: nessuno aveva pensato a studiare, o formarsi per quelle figure professionali che richiedevano senso del mercato e dell'impresa. Basta un generico lavoro, magari a posto fisso. E poi, basta puntare il dito contro la luna, addossandole colpe: la famiglia, la società, la scuola, insomma lo Stato, i politici ladri. L'immagine di Napoli, la città dove sono nato, la città dalla storia vituperata e per 150 anni raccontata con omissioni e falsità, la città da migliaia di abusi subiti, calpestata da conquistatori sanguisughe, sembra essere diventata male che si fa alibi, protesta che si fa sistema, specialità che si fa giustifica. L'immagine di Napoli, probabilmente, è un progetto che non esiste più, una collettività che non trova ragioni di condivisioni, nella stratificazione di tante città che non diventano squadra. L'immagine di Napoli è una squadra di calcio riempita quasi tutta da stranieri, che riesce ad unire nel tifo, come per miracolo e solo per poco, gente che nella vita di tutti i giorni è lontana anni luce. L'immagine di Napoli è tante immagini, tutte diverse e tutte vere. La sintesi è difficile, la spiegazione, a chi vive lontano, non è sempre agevole. Sì, vero, al Nord tanti ci bollano con razzismo, prevenzione, puzza sotto al naso. Sta a noi, allora, lavorare sulla nostra immagine di Napoli. Trasformarla, modificarla, renderla sempre positiva. Allontanando populismo, plebeismi, giustificazionismi e arroccamenti. Che la nostra immagine diventi quella giusta, quella buona, quella di cui andare sempre fieri. Senza alibi, ad ogni costo. Perchè siamo orgogliosi di essere napoletani e vorremmo sempre poterlo urlare al mondo.
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