Aldo Balestra
Diritto & Rovescio
di

Super League? A noi piace
Davide che batte Golia

Il logo della SuperLeague
Il logo della SuperLeague
di Aldo Balestra
Martedì 20 Aprile 2021, 01:13 - Ultimo agg. 01:46
5 Minuti di Lettura

 «Bufera sulla Superleague, governi e istituzioni contrari»  (Ansa, 19.04.21, ore 21)
***

E niente, capita che in piena notte, al termine di una domenica di campionati di calcio già negati al pubblico causa Covid, dodici grandi club europei che hanno una motivazione (e la spinta debitoria) di interessi miliardari e una corte di milioni di tifosi adoranti annuncino, con una secca nota di agenzia, di aver raggiunto una intesa per costituire una nuova competizione calcistica infrasettimanale. Pronti già nome, la Super League, governata dai club fondatori, e logo stilizzato. Un vero terremoto per la geopolitica del calcio. Significa che queste società (Milan, Arsenal, Atlético de Madrid, Chelsea, Barcellona, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Real Madrid e Tottenham Hotspur), il fior fiore del calcio continentale, hanno deciso di farsi un super-torneo per fatti propri. E lasciano aperta la porta ad altri tre club (si noti, per ora mancano squadre francesi e tedesche) per l'ingresso come soci fondatori, in vista della stagione agonistica «che dovrebbe iniziare non appena possibile».

La giornata di lunedì 19 aprile è trascorsa tra stupore, veleni, prese di posizione, promesse di espulsioni (dai campionati di appartenenza), impennate di Borse economiche (da quanto tempo la Juve non otteneva un + 17,85%?) e rabbia della politica a tutte le latitudini, e del mondo Fifa e Uefa. Tutti contro i 12 club "ribelli" che decidono, belli e buoni, di far da soli e creare il super-torneo europeo opulento e parallelo. Tutto questo con conseguenze notevolissime su campionati nazionali in corso e futuri, e sui nuovi assetti per le Coppe Europee tradizionali.

Scorrendo le agenzie per un'intera giornata non siamo riusciti a trovare dichiarazioni a favore che non fossero quelle dei diretti interessati, promotori e loro sodali. Tutto il resto è stato un diluvio di no, dal principe William a Draghi, con qualche silenzio imbarazzato e imbarazzante di chi vuol prima capire capire come va a finire, e tante promesse di rivalsa.

Una diaspora inattesa e violenta, che mira a creare un calcio dei ricchi (o presunti tali), club di prestigio forti ma molti in crisi di liquidità, che avrebbero così un tesoretto iniziale assicurato da una forza bancaria imponente come JP Morgan e la prospettiva di spartirsi una torta finale ben più sostanziosa della Champion League attuale (dove peraltro alcune delle partecipanti guardano la Coppa da tempo, ma ad abbracciarla proprio non riescono).

E i tifosi? Ecco, è di loro che ci interessa, al diavolo presidenti voraci e calcolatori, e campioni che vivono del proprio culto e volume d'affari. A noi preme di quei tifosi che sanno benissimo come già il calcio attuale sia un business, epperò non rinunciano ad identificarsi ancora nei colori della propria squadra, della propria città, che vivono nell'attesa della sfida domenicale, e spendono soldi per abbonarsi (anche in tv, purtroppo) e sugli spalti portano i loro figli con le bandiere, a sostenere i propri idoli.

E a noi piacciono calcisticamente parlando, da sempre, le storie dei Davide che abbattono i Golia, almeno in quel campionato lì che passa alla storia, e fa niente che poi l'anno successivo le buschiamo come sempre dalle "grandi".

Nella sinfonia sin troppo nota - tanto per rimanere in Italia - ci piacciono le favole del Sassuolo, del Chievo Verona, dell'Atalanta di quest'anno (che in caso di scissione potrebbe tornare in gioco per lo scudetto). E chi può mai dimenticare (io, vi avviso, certamente no) quello scudetto del '70 di una squadra piccola chiamata Cagliari, guidata da un Gigi Riva che aveva appena rifiutato i tanti milioni della Juve? E vogliamo mettere gli scudetti del Napoli in grado di inebriare una città intera? E se guardiamo all'Inghilterra chi dimenticherà mai la favola del piccolo Leicester di Ranieri? Insomma, perché togliere così violentemente quell'ultima patina di giocosità ("Federazione Italiana Gioco Calcio", in Italia, rimane pur sempre il significato della scritta Figc) ad un affare già tremendamente serio per bilanci e obiettivi economici, ed anche per interessi che si sono rivelati, talvolta, assai loschi? Ma diamine, è ancora mai possibile pensare di dividere il pallone, per scissione a tavolino, in ricchi e poveri?

Questa storia lascia senza parole, davvero. Perchè siamo di una generazione che riesce ancora a credere nei valori non divisivi dello sport, sebbene forgiati dal potere economico che già finisce per creare distanze. Il Catania non è la Juve, ricordava ieri Pippo Baudo, catanese doc, che però ha sempre pensato che proprio Juve-Catania potesse essere il top dell'aspirazione calcistica per un tifoso rossoblu. Perché, da che è mondo e mondo, almeno una volta capita sempre che anche giocando a pallone Davide riesca a battere Golia. Fino a quando, nel cuore della notte, dodici Golia hanno deciso di voler duellare da soli. Verrebbe quasi da dire “sì, provateci”, ma come non pensare ai milioni di tifosi degli stessi dodici club che già hanno urlato la propria disapprovazione?

Se questo doveva essere un metodo per risollevarsi, magari per tornare a riempire gli stadi al di là del Covid, si è sbagliata sicuramente strada. Ecco, ripensare il calcio, su fondamenta nuove, sì che farebbe bene al pallone dei ricchi. E anche a quello dei poveri.
***
«Per ogni povero che impallidisce di fame, c'è un ricco che impallidisce di paura» (Louis Blanc, Organizzazione del lavoro)

© RIPRODUZIONE RISERVATA