Esiste un'altra Napoli

Esiste un'altra Napoli
Giovedì 11 Settembre 2014, 17:52 - Ultimo agg. 9 Novembre, 20:37
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Esiste un’altra Napoli. È la città che non finisce sui giornali e che non va in televisione. È la città che non si riconosce nell’immagine violenta, disperata, arruffona, lazzara, monnezzara e stereotipata che tanti giornali e quasi tutte le televisioni danno di Napoli. È la città che si sveglia presto per andare a lavorare e deve faticare il doppio per ottenere la metà, che deve calcolare i tempi giusti però non finire nell’ingorgo di una protesta qualsiasi, come se fossimo tutti precipitati nei gorghi avvolgenti degli anni Settanta, del passato che non passa. È la città della gente onestissima, una maggioranza portentosa, che popola il centro e le periferie. È la Napoli che, assediata, resiste, che vuole uscire dal destino di un martirio infinito, che invoca la legalità con le poche armi che ha in mano, che sbaglia senza accorgersene, perché a Napoli è più facile sbagliare. È una città che si è stancata della maschere di Pulcinella, del falso mito di Masaniello e si ritrova circondata da Pulcinella e Masaniello.  È la Napoli che guarda all’Europa, perché è figlia e madre dell’Europa. È una città che si è stancata di soffrire in silenzio, ma si ritrova senza voce, che non vuole essere assistita perché sa di potercela fare da sola, lo fa ogni giorno con sforzi eroici. È la Napoli di cui non si parla, che resta attonita davanti al crollo delle istituzioni e alla crescente resa di chi dovrebbe tutelarne la sicurezza. È la Napoli che tira la carretta ogni giorno, che deve insegnare ai figli come scansare pericoli molto più insidiosi della loro capacità di comprenderli. È la Napoli che vorrebbe consegnare ai propri figli un ambiente migliore, all’altezza dei propri sogni. È la città che cresce come la foresta che non fa rumore, ma deve fare i conti con gli alberi che cadono, alzando polveroni di chiacchiere inconcludenti. È la Napoli che si deve difendere, che deve dimostrare ogni giorno, come davanti a un giudice implacabile e sordo, di non essere disonesta, di non essere violenta, di non essere sfaticata, di non essere piagnona e casinara, di non essere perennemente seduta dalla parte del torto, ma di non essere neanche soltanto la patria della pizza, dei mandolini e di una bellezza ridotta a logoro cliché, a tarantella stonata, a tammurriata avvelenata. A nessun altro cittadino al mondo viene fatto continuamente questo esame irridente, spietato e fatuo per sondare i confini della sua natura, di un presunto Dna immodificabile. È la città che non si ribella, perché più della voglia le manca il tempo. È la Napoli che non sta a guardarsi continuamente l'ombelico e non si sente l’ombelico del mondo, ma una perla, brillante e imbrattata, nella Storia della Bellezza. Questa Napoli esiste e non deve dimostrare niente a nessuno, come ricordava Massimo Troisi. Ed è invece una città che deve togliersi la merda (non cerchiamo eufemismi, è questo, proprio questo) dai vestiti, deve sentirsi umiliata e offesa, deve essere due volte vittima: dell’illegalità camorristica e dell’immagine opprimente, falsamente totalizzante che le viene continuamente appiccicata addosso, come un marchio, una lettera scarlatta impressa con il fuoco del pregiudizio. Cornuti e mazziati. Innocenti nella sostanza, colpevoli nella forma e per l’incapacità di reagire. Questa Napoli è la Napoli perbene, non la Napoli perbenista. E non c’è nulla di male, in questo caos di false coscienze, persino a essere perbenisti, laddove l'alternativa è essere «permalisti», propugnatori una banale ineluttabilità del male.  Questa Napoli esiste. Ed è più numerosa, molto più numerosa, dell’altra Napoli, la Napoli rumorosa. Ma continua a tacere. Sarebbe ora che uscisse allo scoperto, trovasse il tempo e la voglia di salire sul palcoscenico occupato dalla nostra perenne sceneggiata di «malamenti». Gli antichi lodavano il gesto del ragazzo spartano che nascondeva il lupo sotto il mantello, lasciandosi divorare senza un lamento. Ma, già un secolo fa l’americano Edgar Lee Masters, correggeva: è più coraggioso «strapparsi il lupo dal corpo e lottare con lui all’aperto, magari per strada, tra polvere e ululi di dolore». Non serve arrivare a tanto. Basterebbe mostrare di esistere. 
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