Ho visto anche degli zingari felici

Giovedì 11 Dicembre 2014, 09:51
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La dittatura del falso politicamente corretto produce effetti nefasti sulla semantica. La strangola, uccidendo la ricchezza del linguaggio. Prendete la parola "zingaro", sostituita ormai definitivamente da un'altra definizione sbagliatissima, ovvero "rom". I rom sono un popolo, un'etnia ben precisa, antichissima e nomade. Ma, spesso, nei campi rom, in quei ghetti e baraccopoli dove i nomadi sono racchiusi nel diprezzo e nella paura (reale o indotta, teniamolo tra parentesi) degli stanziali, vivono altre etnie, tra le quali i sinti, che fanno parte di quella che gli studiosi chiamano "popolazione romanì" che comprende i rom, ma non sono rom.

Non è il caso di stare a fare qui tanta antropologia, ma di fatto nella comunicazione prevale il termine "rom" (forse anche perché la sua brevità aiuta molto i giornalisti nella titolazione degli articoli) per indicare popoli e gruppi molto diversi tra loro. Spesso, per evitare di scrivere "zingari", si usa "nomadi", non considerando che esistono gruppi stanziali da secoli, tra l'altro ben integrati, tanto che definirli stranieri è un errore persino anagrafico, poiché in migliaia hanno la cittadinanza italiana da secoli. 

Quindi non sempre sono rom, non sempre sono nomadi e non sempre sono stranieri. Nei secoli era prevalso il termine, non sempre dispregiativo, ma anche dispregiativo, di "zingaro" che ha la stessa radice del francese "gitanes". E in Francia, la parola, oltre a indicare un marca di sigarette, ha sfumature e volute poetiche, e viene declinata senza pregiudizi.

In Italia siamo sempre più schizzinosi e zelanti. Così, non solo si tende a censurare la parola "zingaro" come razzista, ma è stato bandito pure, da decenni, il termine "negro", che fino a quarant'anni fa era adoperato senza nessuna connotazione xenofoba. Tanto che, giusto per dirne una, Fausto Leali, nel 1968, poteva tranquillamente cantare "Angeli negri" senza che nessuno gli desse addosso. Per non parlare dell'uso poetico e neutro diffuso in tutte le discipline dello scibile umano. Poi è prevalsa, anche da noi, una distinzione che esiste negli Stati Uniti, tra "nigger" (che traduciamo dispregiativamente in negro) e "black" (semplicemente nero). I francesi, ancora una volta, se ne fregano di tutti questi perfettismi e continuano a usare "négre", lasciando "noir" solo a una categoria specifica di romanzi polizieschi.

Zingaro, quindi, è stato stroncato dal politicamente corretto. Eppure, sempre per mantenersi nell'ambito della canzone popolare, "Zingara" è stato un grande successo di Iva Zanicchi, mentre Nicola Di Bari e Nada con "Il cuore è uno zingaro" cantavano di sentimenti senza catene e ancora, nei politicizzatissimi anni Settanta, il cantautore bolognese Claudio Lolli poteva incidere un intero concept album intitolato "Ho visto anche degli zingari felici", nel quale, va aggiunto, "zingari" racchiudeva, per induzione, tutta la gioventù libertaria e contestatrice che voleva riprendersi "la vita, la terra, la luna e l'abbondanza". Zingaro allora era un sinonimo di libertà, allegria e festa. Il confronto con i nostri giorni è deprimente. Persino sematicamente.
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