I Don Ferrante della sinistra italiana

Giovedì 21 Agosto 2014, 10:29
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Da tempo, molto tempo, larga parte della sinistra italiana, in particolare quella che viene definita semplicisticamente radicale o sinistra-sinistra, è affetta dalla sindrome di Don Ferrante, il personaggio manzoniano dei "Promessi sposi". Lo ricordate? Se alle superiori non vi siete limitati a riscaldare la sedia, qualche luccichio sarà balenato nella vostra memoria. Don Ferrante è il marito di Donna Prassede che ospita Lucia in fuga. E' una di quelle figure apparentenente minori nelle quali Manzoni riusciva a racchiudere uno dei caratteri italiani, se non universali. Don Ferrante è un erudito, anzi il prototipo dell'erudito del Seicento. Un "peripatetico consumato". Vuole agire seguendo i sillogismi del suo amato Aristotele che nessuno, secondo lui, può validamente contrastare. Per Don Ferrante, il filosofo di Stagira ha detto tutto e bisogna solo adeguarsi. Così, mentre la peste devasta Milano l'erudito rifiuta di prendere precauzioni. Di fronte ai "vibici, agli esentemi, agli antraci, alle parotidi" del contagio sguaina la spada arrugginita dei sillogismi e dimostra che la peste non può essere né sostanza né accidente e "ergo" non esiste. Ovviamente la peste esiste e Don Ferrante muore. Di Don Ferrante in giro ce ne sono tanti e non solo a sinistra. Ma i Don Ferrante di sinistra sono i più inquietanti, perché, sulla carta, dovrebbero essere i portatori di una cultura aperta al futuro, al cambiamento, dovrebbero essere i primi a intercettare le novità, a capire i sogni e i bisogni della gente. Invece, hanno letto (a volte ne dubito, però) Marx senza capirlo a fondo. Ripetono formulette posticce ridotte a slogan. Sono, insomma, fermi al loro mondo aristotelico, vecchio, nei casi migliori, di almeno mezzo secolo. Fuori infuria la peste e loro cercano sostanza e accidente. Ripetendo che Marx (o Lenin o Mao o Che Guevara o Togliatti) non l'aveva detto.
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