Cosa significa tornare alla cucina essenziale (non tradizionale)

Sabato 11 Aprile 2015, 19:46
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La «cucina essenziale» è il tema dominante del congresso gastronomico di Paestum Le Strade della Mozzarella. Perché questa tendenza che vede forse in Niko Romito la sua massima espressione in questo momento è così importante? E, poi, cosa si deve intendere per «cucina essenziale»? Si tratta di uno stile che va dritto alla materia prima e che tenta di interpretarla nella sua essenza, cercando sapore e gusto senza inutili orpelli e stramberie barocche. Intendiamoci, ogni piatto è buono quando viene ben interpretato: un timballo di pasta è cucina barocca, cioé di aggiunta continua di ingredienti e di presentazione che deve stupire. Ed è buonissimo. Ma è questo il tempo dello spaghetto al pomodoro. La cucina essenziale ha come prerequisito la grande qualità delle materie prime con la tecnica che non deve prevalere, ma servire ad esaltarle. La crisi porta all’essenzialità, i nuovi stili di vita privilegiano, nell’arredamento come nel cibo, un rapporto più semplice con quello che ci circonda. Non c’è più tempo per sprecare, anche la disponibilità economica impone una selezione qualitativa decisamente più centrata. Oggi nelle cucine molti cuochi non badano all’essenza della materia prima, ma cercano di stupire sia nelle presentazioni, spesso eccessivamente ostentate, sia nell’abbinamento degli ingredienti. La cucina essenziale ha comunque la sua continuità nella tradizione, la semplifica senza però banalizzarla e anche quando la cambia non tende al caricaturale. La differenza tra un genio in cucina e un cuoco scarso è proprio nel fatto che il primo riuscirà a fare la cosa più complicata presentandola nel modo più semplice mentre il secondo ti costringe ad un percorso cerebrale spesso privo di ogni senso oltre che di ogni sapore. Su molti luoghi comuni occorre riflettere, come quello sulla semplicità. Ebbene, la semplicità non è la tradizione, perché questa è una convenzione, una fotografia di equilibrio raggiunto che resiste per più tempo di altri.   Esempio, la mozzarella e il pomodoro. Ma come ha dimostrato Pino Cuttaia nella Nuvola di Caprese (presentato alle Strade della Mozzarella due anni fa e piattio dell’anni per la Guida Espresso nel 2014), ci sono modi e modi per far stare insieme questi due cibi. Oppure pensiamo all’assoluto di cipolla di Niko Romito che scarnifica la materia e lascia vivere solo l’essenza del tubero. La tradizione, in realtà, è ciò che un territorio può produrre. Quello che cambia è spesso il modo dell’uomo di vedere queste materie. Spesso associamo la mela ai dolci, ma sappiamo che nel Medioevo la frutta, in assenza di pomodoro e limoni, era il principale acidificante dei cibi e ancora oggi tante preparazioni di carne del Nord Europa hanno appunto prugne, mele, frutti di boschi. Il genio visionario di Salvatore Tassa nel suo raviolo di aglio in consommé di mela riesce a far unire due elementi lontani dall’immaginazione collettiva pur essendo vicini nella terra in cui vengono coltivati. In questo piatto l’asprezza e l’amaro dell’aglio, appena mediata dalla sfoglia di pasta, si immerge nel consommé di mela. Del frutto resta l’essenza, l’aroma, abbinata alla forza della acidità. La grande abilità del cuoco in questo caso è centrare il punto di equilibrio nel quale il raviolo e il brodo si fondono per diventare un’altra cosa. La cucina essenziale dunque è ricerca, profonda conoscenza della materia, creatività, capacità di rileggere la tradizione e il territorio. Ecco perché la mozzarella, un latticino compiuto sul quale sembra non ci sia nulla da dire se non mangiarlo così com’è, è un vero banco di prova che distingue chi ha qualcosa da dire in cucina da tutti gli altri. 
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