La differenza tra pizza napoletana e focaccia

Martedì 1 Settembre 2015, 21:01
3 Minuti di Lettura
Il Pizza Village è una  bella festa perché recupera l’elemento più forte della pizza napoletana: essere, nella sua complessa semplicità, un grande cibo popolare, espressione della memoria collettiva di un popolo ormai da almeno due secoli. Solo lo Champagne può vantare qualcosa del genere in Europa. Molti hanno irriso quei pizzaioli che all’inviato di Report non sapevano spiegare bene quello che facevano e perché lo facevano, il che, nella società della comunicazione immediata del nulla, è ritenuta la colpa più grave. Ma provate voi a studiare le mani, non la bocca, di queste persone e vedrete in quei gesti, che nessun pizzaiolo che non sia stato a bottega da un napoletano sa ripetere, la grande sapienza tramandata di generazione in generazione dalla dominazione francese, e anche prima, sino ad oggi. In quei gesti con cui si ammacca e si stende la pasta, la si condisce e la si mette sulla pala c’è la sapienza delle mani, proprio quella che in Italia si è iniziata a perdere a partire dagli anni ’60 e che oggi si sta in piccola parte recuperando spinta dalle necessità della crisi. Oggi tutti sappiamo solo tastierizzare, perciò il lavoro vale così poco. Facile prendersi gioco di chi non ha studiato, come chiedere a un contadino perché semina. Più difficile ripetere quello che fa. Ma non è solo la manualità, la prassi, a fare grande la pizza napoletana, perché in questi ultimi anni è stata spinta al successo sui social network come nessun altro cibo e ovunque nel mondo si aprono pizzerie capaci di esprimere lo stile di una pasta soffice ed elastica, inimitabile. Ecco perché in tanti hanno iniziato ad attaccare Napoli, perché esprime a livello di massa un prodotto che nessuna industria può omologare, perché servono le mani, le stesse che fanno fare un brusco movimento alle bottiglie di Champagne per favorirne la maturazione. Realtà che non hanno più di dieci, quindici anni, spesso provenienti da altri mestieri, vogliono spiegare che serve la farina integrale o il lievito madre, ma si tratta di bufale omologanti perché la farina integrale, quando non è biologica, fa malissimo in quando contiene tutti gli antiparassitari utilizzati mentre con il lievito madre non si potranno mai fare le stesse pizze che consente il lievito di birra, che non è meno naturale di quello madre come ben si sa da quando l’umanità non si nutre più solo di bacche, radici e foglie. La pizza napoletana, margherita, marinara, fritta, è un grande classico della manualità gastronomica italiana, come la pasta fresca in Emilia Romagna o il babà. Ci sono voluti secoli per arrivare alla perfezione di questo risultato ed è per questo che sono un classico. Questo significa stare fermi? Per nulla. Basti vedere alle nuove farine 00 in commercio, al miglioramento costante dei prodotti, ai nuovi concept con cui si aprono le pizzerie, la rinnovata attenzione alle birre e al vino. La pizza napoletana sta salvando spingendo come nessuno i presidi Slow Food e l’agricoltura di qualità perché su quell’impasto la fantasia dei pizzaioli è in grado di fare vere e proprie creazioni. La ricerca sta procedendo per creare tecniche di cottura alternative come il forno a gas (ammesso dall’Apvn) ed elettrico.   L’acqua non è mai la stessa, dice Eraclito, ed anche la pizza napoletana è in evoluzione, come del resto lo Champagne, sempre più acido e meno zuccherino. Ma il progresso consiste nel guardare avanti, non nel rimettere in discussione cose già studiate e messe da parte nel corso dei decenni. Altrimenti dalla pizza torniamo alla focaccia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA