Michele Ferrero, il papà della Nutella metafora di una Italia che non c'è più

Domenica 15 Febbraio 2015, 20:31
3 Minuti di Lettura
Secondo Forbes è stato l’uomo più ricco d’Italia, con un patrimonio stimato in 26,5 miliardi. A differenza dell’altro arcimiliardario del Belpaese, Silvio Berlusconi, non ha diviso ma ha unito l’Italia che adesso lo ricorda con affetto. Michele Ferrero, avrebbe compiuto 90 anni ad aprile, è morto ieri pomeriggio a Montecarlo dopo una malattia che lo aveva colpito negli ultimi mesi al termine di una vita attiva e fantastica nel corso della quale ha rilasciato una sola intervista, di cui si pentì. Già, perchè oltre alla Nutella, Ferrero è stato il proprietario di marchi che hanno segnato l’immaginario di tutte le generazioni italiane, da quelle dell’ottimismo del baby boom degli anni ’60 a quelle della crecita zero di quest’ultimo decennio. Tic tac, Mon Cheri, ovetto e barretta Kinder più latte meno cacao, Pocket cofee e Ferrero Roche: prodotti che hanno fatto la storia del gusto, della pubblicità e del costume. La Nutella è il rifugio sicuro di un depresso Nanni Moretti in «Bianca» che la sogna in un bicchierone gigante in cucina, protagonista della canzone «Destra-sinistra» di Gaber e in quella «Lanutella di tua sorella» di Ivan Graziani. Nato a Dogliani il 26 aprile 1925, Michele Ferrero è stato l'artefice dello sviluppo in Italia e all'estero dell'azienda fondata dal padre Pietro nel 1946. Sotto la sua direzione l'azienda della Nutella è infatti diventata uno dei principali gruppi dolciari a livello mondiale, presente in 53 Paesi con oltre 34.000 collaboratori e 20 stabilimenti produttivi e 9 aziende agricole. E sempre per suo volere nasce, nel 1983, la Fondazione Ferrero, che oltre ad occuparsi degli ex dipendenti promuove iniziative culturali e artistiche. In questi decenni la Ferrero ha dimostrato di essere una azienda al passo con i tempi, lanciando prodotti innovativi che interpretavano bisogni diffusi in un pPaese il cui gusto, insieme al linguaggio, si andava omologando dietro la spinta delle televisione. Erano gli anni di Carosello e della ennesima grande migrazione dal Sud verso il Nord, dalla campagna verso la città: l’industria agroalimentare imponeva il proprio stile, importato dal modello di consumo americano, che si sarebbe trasformato in una cavalcata trionfale per almeno trent’anni. Tre decenni nel corso dei quali tutti i bambini italiani, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, hanno mangiato le stesse cose per la prima volta dall’unificazione del paese. Nemmeno il Fascismo era riuscito in questa impresa. Ma sotto la direzione di Michele Ferrero l’azienda di Alba ha saputo cavalcare anche la risacca, l’onda di ritorno alimentare che, a partire dagli anni ’90, ha posto maggiore attenzione all’artigianalità dei prodotti con un occhio alla compatibilità ambientale. La Ferrero è stata nelle Langhe quello che la Fiat è stata per Torino, ha in primo luogo fermato l’emigrazione e dato il via alla rinnovata attenzione per il grande giacimento gastronomico di quel territorio che poi avrebbe avuto proprio Slow Food come principale interprete. Il segreto di questo successo è stata l’unità familiare che Michele ha saputo conservare e soprattutto lo stile sottotraccia, opposto, appunto, a quello di Berlusconi. Uno stile di una Italia rurale con la testa sulle spalle, che portava ad acquistare un pezzo di stoffa in più per rifare le maniche e conservare la giacca invece di inseguire simboli di ostentazione. Una Italia etica a prescindere, tenacemente legata alla giornata lavorativa, nella quale l’impresa oltre che a produrre profitti svolge un ruolo sociale e territoriale di primo piano. Per questo la Nutella e tutte le invenzioni di Michele Ferrero hanno tenuto insieme gli italiani che adesso lo ricordano con affetto oltre che con la paura di seppellire con lui anche l’ottimismo del nostro passato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA