Ma a cosa serve un ministro per il Mezzogiorno? E cosa ci vuole per un Sud che sia utile all'Italia?

Giovedì 5 Febbraio 2015, 19:26
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Matteo Renzi è persona assai pratica e più di molti altri si gioca il suo futuro politico sulla capacità di far tornare a crescere questo Paese. E, tuttavia, chi facesse lo sforzo di andarsi a leggere un po’ di numeri comodamente disponibili sul sito dell’ISTAT o della Ragioneria Generale dello Stato, non può non provare un certo scetticismo di fronte all’ennesima idea di reagire ad un problema (enorme in questo caso) creando un ministero apposito. A cosa serve un ministro per il mezzogiorno? Perché mai dovrebbe essere una giornalista che pure ha avuto il merito (grande ma da riconoscere in altra sede) di tuffarsi in mare a Lampedusa per salvare i naufraghi che sfuggivano dalla guerra? Possiamo immaginare che a vincere la sfida che questo Paese perde da sessant’anni a questa parte sia chiamato un magistrato (seppur è verissimo che bisognerebbe fare pulizia di tantissima corruzione che si è attaccata all’utilizzo – peraltro scarso – dei fondi strutturali)? A voler essere pratici, e l’Italia, con Renzi, non può più permettersi – dopo quindici trimestri di non crescita e un milione e mezzo di giovani esclusi da qualsiasi forma di lavoro o di studio - neanche un solo altro sacrifico alla comunicazione del nulla, un ministero per il Sud rischia di servire a poco. Per almeno due motivi. La prima è che da tempo il Sud non esiste più. Esistono regioni, territori assai diversificati tra di loro. Sia per capacità di crescita che per capacità delle amministrazioni di gestire i finanziamenti (circa 40 miliardi di euro nei prossimi sette anni) destinati allo sviluppo. La Campania precipita e, a oggi, a un anno dalla fine del periodo di programmazione dei fondi strutturali per 2007 – 2013 ha speso poco più di un quarto dei 6,8 miliardi di euro che aveva a disposizione all’inizio del periodo (in realtà la percentuale di spesa sale al 40% solo perché ad un certo il governo italiano tolse a Napoli più di 2 miliardi di euro per evitare che essi fossero tagliati dalla commissione europea). La stessa percentuale in Puglia è quasi tre volte più elevata. La seconda è che la storia della centralità della questione del Sud è sempre accompagnata dalla richiesta di più risorse. Ed invece i dati appena citati dimostrano (ma vi sono tante altre evidenze) che la questione non è quella di mancanza di risorse. In realtà ciò che ci vuole per vincere la sfida è “solo” responsabilità sui risultati e competenze. Responsabilità sui risultati perché se una Regione o un’amministrazione o anche un privato che vince un appalto non riesce a centrare obiettivi (di spesa o di sviluppo), devono esserci meccanismi semplici di trasferimento dei soldi tra chi sa spendere e chi non lo sa fare (e indicatori predeterminati e trasparenti – in maniera che le opinioni pubbliche possano giudicare - che guidino le riallocazioni). Competenze perché ciò che la Commissione Europea sta giustamente chiedendo alle Regioni è di scegliere dove puntare (quali settori, quali servizi pubblici) osservando cosa succede a livello internazionale: questa è una sfida che, da sola, potrebbe riportare al Sud persone di talento che accettino di lavorare ad un programma ambizioso mettendo a disposizione esperienze internazionali, che quasi tutte le amministrazioni pubbliche (non solo del Sud) non possiedono. E allora? Più che un Ministero, ci vorrebbe un manager, capace di accettare una grande sfida. Uomo o donna che sia. Uno che sappia superare un metodo che è stato totalmente nelle mani di burocrati che le scelte non possono farle. Ed una squadra alla quale domani parteciperebbero entusiasti – se ci fosse un progetto, napoletani, siciliani, calabresi che oggi sono dispersi per il mondo. Peraltro, un sottosegretario come Del Rio sta già facendo un buon lavoro. E anche un’agenzia con un nuovo direttore. Ma è il lavoro esattamente la cosa di cui c’è bisogno. Di chi entra nei dossier e supporta il politico ad assumere decisioni informate. E non di chi va nei salotti televisivi a lamentarsi per tirare dalla sua parte una coperta che è destinata a rimanere corta se è solo il risultato di un gioco a somma zero. Il Mezzogiorno può valere da solo – con i 40 miliardi di euro che vi sono destinati – la crescita dell’Italia. Tuttavia, ci vuole svolta vera. Pragmatica. Visionaria. Quella di chi vuole avere una prospettiva di medio lungo periodo e sa che sta passando l’ultimo treno.
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