Appaltopoli, condannato La Regina
ma niente legami con la camorra

Appaltopoli, condannato La Regina ma niente legami con la camorra
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 14 Marzo 2019, 07:00
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Reggono le accuse di corruzione e di turbativa d'asta, non passa invece l'ipotesi di legami con la camorra. Quattro anni dopo l'avvio dell'inchiesta monstre sul presunto sistema La Regina (inchiesta «the queen», conosciuta anche come appaltopoli), c'è la prima sentenza a carico dei protagonisti. Un verdetto pronunciato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a proposito del presunto condizionamento della gara d'appalto per la ristrutturazione di Palazzo Teti Maffuccini, edificio antico e prestigioso che ospitò anche Garibaldi. In sintesi, i giudici (prima sezione, presidente Carotenuto) hanno condannato a sei anni di reclusione (su richiesta di otto), l'ingegnere Guglielmo La Regina, ritenuto al centro di una serie di contatti con le pubbliche amministrazioni e le commissioni di gara al centro delle indagini; cinque anni e sei mesi sono stati invece comminati per l'ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Di Muro; un anno, pena sospesa, per il responsabile unico del procedimento Roberto Di Tommaso; quattro anni e sei mesi per il docente Vincenzo Manocchio, esponente della commissione di gara.
 
È stato condannato a quattro anni di reclusione Alessandro Zagaria, per il quale la Procura aveva chiesto una pena a venti anni, ritenendolo testa di ponte della camorra casalese infiltrata negli appalti e in alcuni enti locali del Casertano. Una pista, quella dei contatti con la camorra, caduta per Zagaria e per tutti gli altri imputati. Difeso dai penalisti Antonio Abet e Marco Muscariello, Zagaria aveva sempre rivendicato la propria estraneità al crimine organizzato e da ieri pomeriggio viene scarcerato. Ma torniamo alla storia dell'appalto per il rifacimento di Palazzo Teti Maffuccini: per questa vicenda, aveva definito un patteggiamento l'imprenditore Marco Cascella (manager della Lande che si era aggiudicato l'appalto), mentre si era concluso con un rito abbreviato lo stralcio per Loredana Di Giovanni, ormai ex segretaria di La Regina, la cui voce è stata più volte intercettata nel corso della prima fase delle indagini. Inchiesta condotta dai pm Alessandro D'Alessio, Maurizio Giordano, Luigi Landolfi, Gloria Sanseverino, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, quattro anni dopo blitz e perquisizioni (era l'estate del 2015) si arriva a un primo verdetto sul presunto condizionamento della gara decisiva per il cosiddetto «polo della cultura» sammaritano. Ma non è tutto. Ieri mattina, dinanzi ai giudici del Tribunale di Napoli, dove si sta celebrando il filone principale di «appaltopoli» (nato sempre dalle intercettazioni di La Regina), la Procura di Napoli ha depositato alcune dichiarazioni del pentito Nicola Schiavone.

Verbali che hanno spinto i pm ad integrare le accuse e a insistere sui presunti legami con i casalesi, tanto da aggravare le accuse mosse a carico dello stesso La Regina (imputato per altri appalti), per Garofano, Bretto e Martinelli. Schiavone jr sostiene che, a proposito dei lavori di Palazzo Cappabianca, gli venne recapitata una tangente da 200mila euro, sulla scorta di accordi sottobanco con amministrazioni comunali e imprese controllate dal clan. Ma sulle nuove accuse di «mafiosità» a La Regina, replica l'avvocato Campora: «La nuova contestazione, peraltro avanzata in assenza di ulteriori elementi, contrasta con lo stesso orientamento del pm che alla scorsa udienza aveva modificato l'imputazione escludendo, appunto, le aggravanti mafiose. Faremo appello per dimostrare l'assoluta correttezza nell'espletamento della gara».
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