Camorra: non solo bombe e clan
a Caserta il pericolo di un'ondata

Camorra: non solo bombe e clan a Caserta il pericolo di un'ondata
di Marilù Musto
Giovedì 17 Dicembre 2020, 08:32
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Il clan dei Casalesi, ma non solo. La mafia nigeriana di Castelvolturno e i cani sciolti di Mondragone - complici, le scarcerazioni di vecchi boss - sono la nuova frontiera del crimine. Poi c'è Pignataro Maggiore, l'area atellana, dove i clan del napoletano dettano legge. Per questo, Caserta è tra le 15 province d'Italia a maggiore rischio di «permeabilità» alla criminalità organizzata. Nel precipizio c'è un territorio affascinante, fatto di campagne, imprese e dimore reali, ma flagellata dalle teste basse di chi accetta l'illegalità ogni giorno, evitando di alzare la voce. Ed è su questo terreno che s'innesta la criminalità organizzata. Ed è per questo che Caserta si trova al quinto posto di questa impietosa classifica. La prima è Crotone, seconda Vibo Valentia, terza Napoli. È quanto emerso dal rapporto sul fenomeno mafioso presentato nella sede della Direzione Nazionale Antimafia a Roma, alla presenza del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho e realizzato nel quadro del protocollo d'intesa tra la Dna e l'Eurispes.

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Dopo la prima grande «guerra» alla camorra, al clan Bardellino-Schiavone prima e Zagaria e Belforte (a Marcianise) dopo, nel casertano - a parte l'escalation di Giuseppe Setola nel 2008 - la seconda «ondata» della supremazia della mafia in Terra di Lavoro, sembra quasi inevitabile, incipiente, una necessità se continuano a restare immutati alcuni rapporti di potere. Secondo l'agenzia di stampa Dire, Caserta si piazza al quinto posto, ma a seguire ci sono Caltanissetta, Foggia, Imperia, Barletta, Benevento, Isernia, Cosenza, Catania, Siracusa e Trapani.
Tra gli indici di maggiore vulnerabilità per quanto riguarda la provincia di Caserta c'è quello sociale. La criminalità organizzata trova terreno fertile dove c'è disoccupazione e povertà. Ma è vero anche il contrario. «Non è l'arretratezza socioeconomica che genera le mafie, ma sono le mafie che causano l'arretratezza. Senza le mafie il nostro Paese sarebbe il primo al mondo», ha infatti spiegato il procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho.

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Le province meno esposte alle mafie si trovano in Lombardia e Friuli-Venezia Giulia (Monza e Brianza, Como, Udine, Pordenone e Lecco) mentre su base regionale la Calabria con un Ipco pari a 112.91 precede Campania (109.16), Sicilia (107.82), Puglia (106.78), Molise (106.29), Liguria (105.32), Basilicata (105.17), Sardegna (103.77), Lazio (102.31) e Abruzzo (101.17). Ne esce fuori un'Italia spaccata a metà. Ma cos'è mancato a Caserta e alla sua provincia per cambiare definitivamente rotta, dopo le stragi del 2008? «È cambiato molto, ma non tutto», dice Salvatore Cuoci di Libera e Comitato don Diana: «È mutata, ad esempio, la consapevolezza e c'è la voglia di uscire fuori dal pantano -spiega Puoci - poi ci sono i giovani che, avendo vissuto quel periodo buio, hanno anche la voglia di affrontare i problemi, ma non basta. Perché chi si trovava nella fascia borderline continuava a tessere i suoi affari. La camorra, qui, in provincia di Caserta, continua a vivere nell'economia legale. Come? Investendo nei supermercati e negli ipermercati, calcestruzzo e nel circuito economico e commerciale, senza che nessuno muova foglia. Ed è per questo motivo che, pur essendo sconfitta l'ala armata, si fa fatica ancora a uscire da pantano».

L'analisi dinamica (nel tempo) dell'indice mette in luce invece, sempre secondo i ricercatori dell'Eurispes «una generale crescita della resistenza alla criminalità organizzata». Fanno eccezione la provincia di Roma, il cui livello di permeabilità è cresciuto di 3,28 punti, salendo in graduatoria di 44 posizioni. Da Milano a Caserta, una diversità che spacca l'Italia. Se la provincia non si risolleva, allora la seconda ondata della supremazia criminale in Terra di Lavoro sarà davvero inevitabile.
 

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