Pendrive di Zagaria, ascoltato
l'ex capo della squadra mobile

Pendrive di Zagaria, ascoltato l'ex capo della squadra mobile
Marilu Mustodi Marilù Musto
Mercoledì 30 Marzo 2022, 08:28 - Ultimo agg. 15 Aprile, 22:42
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Cinque anni appeso a un filo. E'  il processo per la compravendita della celebre pendrive di Michele Zagaria, il boss del clan dei Casalesi catturato nel 2011. Ci son voluti 5 anni per chiudere la fase dibattimentale del processo sulla pendrive sparita nel tribunale di Napoli nord, ma neanche tanto, visto che in aula - con un passo elefantiaco - stanno sfilando ancora i testimoni.

Ieri, è stata la volta di Angelo Morabito, l'ex dirigente della squadra mobile della questura di Caserta, colui che prese parte, sotto la guida di Vittorio Pisani, alla cattura del «capo dei capi» nel covo di via Mascagni a Casapesenna. Nel processo ad andamento lento è imputato Oscar Vesevo, poliziotto che avrebbe preso la pendrive (per gli inquirenti, contenente i segreti di Zagaria) facendola sparire. È accusato di peculato, truffa e altro. Unico neo: Orlando Fontana, l'uomo che avrebbe ricomprato da Vesevo la pennetta, è stato assolto tre anni fa. Ma allora, è esistita o no la pendrive di Zagaria? Allo stato, è il processo in corso a Napoli nord che dovrebbe dirlo. Di sicuro, c'è stata un'altra pendrive, inserita nel computer in uso a Vincenzo Inquieto, il vivandiere di Zagaria (allo stato irreperibile, probabilmente fuggito in Romania). Ebbene, nel pc di Inquieto venne inserita l'altra penna usb che conteneva, però, alcune informative della questura di Caserta, finite lì con un virus. Su questo, l'ex capo della squadra mobile Morabito ha risposto alle domande dei giudici e dell'avvocato Giovanni Cantelli. E non poteva far altro perché nella precedente udienza un altro ex capo della squadra mobile, Alessandro Tocco, aveva spiegato che la circostanza delle informative scaricare sul pc era risaputa. Ricostruzione ingarbugliata. Fatto sta che è volata via come una libellula un'altra udienza, ieri, senza che si sia parlato in maniera approfondita di lei: la vera usb di Zagaria.


La realtà è che la vicenda della pendrive prende le mosse da un altro episodio che parla di una ricompensa in denaro per i delatori utili alla polizia per la cattura di Zagaria. All'epoca (nel 2011), il capo dei camorristi era latitante da 16 anni.

Come si arrivò a lui? Ecco la ricostruzione: un uomo vicino al «padrino», incontrato dagli agenti al centro commerciale Jambo di Trentola - si legge nell'informativa del 22 novembre 2011 - imbeccò la polizia e fu ricompensato con 40mila euro, in quanto fonte confidenziale. A testimoniarlo c'è la sua firma su un atto investigativo depositato ai giudici di Napoli nord. Il «pagamento» era avvenuto non prima di aver incontrato Oscar Vesevo (unico sotto processo) a Cassino e a San Vittore, per confermare le informazioni rilasciate al Jambo1. Agli atti dei giudici c'è, infatti, la ricevuta di pagamento dell'uomo-chiave della cattura di Zagaria, ma anche quella di una donna, che pure fu ricompensata con 10mila euro.

Ma si parla anche di un professionista. Lo raccontò il pentito Luigi Cassandra, titolare del complesso Night and Day, ora confiscato, ed ex assessore del comune di Trentola Ducenta. E poi c'è il capitolo delle «talpe» interne alla polizia. A spiegarlo, nelle 73 pagine del rigetto della misura cautelare per l'agente Vesevo, erano stati i magistrati del Riesame, presidente Nicola Quatrano, che avevano inserito agli atti le confessioni di Cassandra. L'ex scudo politico trentolese di Zagaria aveva spiegato che il poliziotto Vesevo tra il 2008 e il 2009 chiese e ottenne dall'allora sindaco di Trentola Ducenta, Nicola Pagano, la nomina del cugino a revisore dei conti al Comune. Qui si ferma la storia e si riaggancia alla pendrive. E da qui i giudici devono ripartire con una sentenza che arriverà, se va bene, a 11 anni dai fatti. Per ora, la prossima udienza è fissata il 17 maggio, fra un mese e mezzo.

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