Casalesi, lascia la cella broker dei rifiuti:
sconti ai mafiosi, indultino in era Covid

Casalesi, lascia la cella broker dei rifiuti: sconti ai mafiosi, indultino in era Covid
di Leandro Del Gaudio
Sabato 9 Maggio 2020, 09:00 - Ultimo agg. 11:02
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Non c'è solo il caso di Pasquale Zagaria, di boss e di killer che in questi mesi sono tornati a casa, agli arresti domiciliari, di fronte al rischio contagio da covid 19. In queste ore, lasciano la cella soggetti meno conosciuti al grande pubblico, magari con nomi meno altisonanti e famigerati, ma da anni al centro delle indagini condotte dalla Dda di Napoli e dalle Procure di altre regioni italiane. Proviamo a ragionare sugli ultimi tre casi di scarcerazione di soggetti ritenuti comunque legati alla camorra dei casalesi. Lasciano a poche ore di distanza le rispettive celle Antonio Noviello (classe 1975), che era finito in cella nel lontano 2007, il cui fine pena era previsto per il 23 luglio del 2021: lascia il carcere, secondo quanto disposto dal magistrato di sorveglianza di Torino; stessa sorte per Giacomo Capoluongo, ritenuto in una prima fase investigativa legato al gruppo Zagaria, salvo poi passare con gli Schiavone, sull'onda d'urto di alcune divergenze interne: indagato per fatti di camorra, Capoluongo era ancora in regime di custodia cautelare, quindi in attesa del primo grado di giudizio. Poi c'è un terzo caso: si tratta di Sergio Orsi, ritenuto broker dei rifiuti a stretto contatto con la camorra casalese, per altro fratello di Michele Orsi, a sua volta assassinato dal boss stragista Giuseppe Setola, nel pieno della furia omicida del famigerato «cecato». Anche in questo caso, parliamo di Sergio Orsi, il ritorno ai domiciliari è stato propiziato dall'emergenza legata al rischio di contagio del corona virus. In sintesi, la scadenza della pena era prevista per il 14 gennaio del 2022, ma per lui scattano i benefici concessi sulla scorta della rivalutazione delle motivazioni «per questioni di salute», come informa una nota del Dap al ministero della giustizia.

Non solo i 360 e passa boss tornati liberi in questi giorni, costati a Basentini il posto di capo del Dap, ma anche altri casi che non passano inosservati soprattutto ai titolari delle rispettive indagini antimafia. E non si tratta di tre casi isolati, secondo gli addetti ai lavori, anche alla luce delle motivazioni che vengono sottoscritte dalle rispettive sezione dei Tribunali di Sorveglianza. Prendiamo il caso di Antonio Noviello, detenuto a Torino e beneficiato di un provvedimento favorevole dei giudici di Sorveglianza del capoluogo sabaudo. Per lui scatta una sorta di indultino, che va a condonare una parte di pena residua che viene ritenuta non legata a fatti di mafia. Un concetto difficile da mandare giù da parte degli inquirenti, che può essere compreso alla luce del concetto di cumulo e di continuazione. Funziona in questo modo: un pregiudicato viene condannato una pena per fatti di mafia, ma anche per reati commessi non in qualità di mafioso, quindi reati ordinari; di fronte alla sua richiesta di domiciliari, vengono concessi i benefici considerando gli anni di galere già scontati come se fossero riconducibili al suo ruolo di mafioso, considerando invece la restante parte della pena come se si trattasse di un detenuto comune. Un meccanismo che rischia di rimettere in libertà ancora decine di affiliati, dal momento che raramente certi soggetti vengono sono stati condannati solo per il reato di associazione mafiosa, ma spesso hanno anche messo a segno delitti che vengono giudicati come astratti rispetto al contesto e alle finalità mafiose.
 


Ed è in questo scenario che risultano confermati gli allarmi che all'inizio della pandemia sono stati lanciati da alcuni osservatori d'eccezione e da magistrati direttamente impegnati nella lotta alla mafia in tutte le sue articolazioni territoriali. Aveva richiamato l'attenzione governativa sull'esigenza di evitare una emorragia di scarcerazioni il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, ma anche il sostituto procuratore generale Catello Maresca (dominus degli arresti di Antonio Iovine e Michele Zagaria); sulla questione carceraria in un clima segnato dall'emergenza sanitaria, si sono espressi con determinazione Nino Di Matteo (ex pm nazionale antimafia, oggi consigliere togato del Csm) e il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.

Interventi che hanno sempre preso le mosse a partire da una premessa: lo Stato deve riservare tutti gli sforzi possibili per tutelare la salute di tutti i reclusi nelle case circondariali italiane, magari rafforzando i presìdi sanitari all'interno dei padiglioni, oppure spostando i detenuti in penitenziari dove ci sono spazi a sufficienza per realizzare il distanziamento interpersonale; in ogni intervento - bene ribadirlo - c'è stata la richiesta di garantire il diritto alla salute e alla dignità delle persone recluse, in uno scenario in cui non è possibile allargare le maglie della giustizia in favore di soggetti legati alle cosche mafiose.
Dopo due mesi di stop, il virus ancora in circolazione, ora si rischiano nuove scarcerazioni ad effetto. 

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