La divisa blu e grigio-azzurra, la gonna al ginocchio, la giacca con i bottoni bombati di colore oro, i gradi, il rigore, l'ordine. Adele Monaco è dal primo marzo direttrice della Scuola per Allievi Agenti della Polizia di Stato a Caserta. Garbata e sorridente, tenacemente di poche parole, riuscire a intervistarla è stata una corsa ad ostacoli tra un'esercitazione, una lezione, la formazione, i convegni, gli impegni casalinghi.
Qual è la sua giornata tipo?
«La mia giornata tipo è intensa: famiglia, lavoro, famiglia. Una giornata che inizia prestissimo e finisce tardissimo con un accumulo crescente di stanchezza».
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Cosa vuol dire guidare la Scuola allievi agenti?
«Innanzitutto è un'esperienza che vivo con tantissimo entusiasmo ma sicuramente ogni azione è tracciata da una grande responsabilità; la responsabilità di assumersi la responsabilità di ogni azione migliorativa, costruttiva e risolutiva per la vita di ogni singolo allievo e di ogni componente della comunità formativa. Lo scorso 12 dicembre c'è stato il giuramento del 227° corso. Erano 163 gli allievi agenti in prova».
C'è differenza nella gestione delle allieve e degli allievi?
«Nel corso che si è appena chiuso le donne erano quarantaquattro. Le donne sono più perspicaci e talvolta hanno quel guizzo in più, sono lungimiranti. Sono un'ottima linfa vitale che crea tanta armonia e mette quel pizzico di familiarità e di empatia. Sono determinate e vanno fino in fondo in termini di passione, motivazione ma anche di studi. Danno quell'apporto concreto che nulla toglie ai maschi ma che arricchisce. La loro motivazione è profonda, non nasce quando arrivano da noi, la portano dentro da molto tempo prima. Si preparano da un punto di vista fisico e culturale. Va detto che i nostri allievi, indipendentemente dal sesso, sono tutti diplomati e la gran parte alla maturità ha conseguito ottimi voti. L'età media di quelli che hanno appena giurato era di 22 anni. È la loro scelta di vita, la fanno appena terminati gli studi. Sono teneri di formazione e anche di sentimenti e questo vuol dire prepararsi con passione, calarsi nella dimensione dell'altro, nei bisogni dell'altro che è poi il cittadino con cui si relazioneranno».
Quale lavoro sognava di fare da grande?
«Provengo da una famiglia semplice ma di grande dignità. Papà è stato un operaio, la mia mamma una casalinga, grande amministratrice della casa e della famiglia. Siamo cinque sorelle, ho avuto un'educazione ai valori, al rispetto dell'altro e sicuramente sentivo forte l'esigenza di un lavoro che si fondasse su saldi valori etici, che mi desse la possibilità di rendere un servizio, con la s maiuscola, alla collettività».
Cos'è per lei il sacrificio?
«Respirare il sacrificio fa crescere e maturare con l'idea di rendere un servizio con sacrificio. I valori che si acquisiscono ricadono, come effetto domino, nelle relazioni con gli altri».
Com'è lavorare con la divisa?
«La divisa è per me un abito naturale, mi dà quel senso di responsabilità per onorarla in qualsiasi momento della giornata, anche quando non la indosso».
Com'è la sua vita quando non è in divisa?
«È la stessa, piena di azioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi prefissati, in primis in famiglia».
Che famiglia è la sua?
«Ho due figlie: Maria Antonietta, la prima, ha 21 anni, studia giurisprudenza all'Università Bocconi di Milano, Francesca Pia, la seconda, quest'anno farà la maturità classica. Entrambe sono profondamente giudiziose e studiose e ne sono molto orgogliosa. Mio marito è Fortunato Della Monica, sindaco di Cetara, anche lui molto impegnato nel sociale. Poi c'è Cloe, la nostra cagnolina che è parte effettiva della famiglia».
Che libro sta leggendo?
«Sto leggendo un libro speciale, Venti di guerra soldati di pace, dedicato a papa Francesco; è un libro sui generis, un approfondimento sui temi legati ai conflitti che devastano il mondo e al bisogno di pace. È un testo scritto a molte mani, realizzato con gli elaborati di giovani studenti che si sono messi in gioco riflettendo sull'importanza e l'esigenza della pace».
La sua passione più grande?
«Prendermi cura degli altri e anche di me stessa».
Quali sono le doti necessarie per fare il suo lavoro?
«Fuor di dubbio l'umiltà, la passione, l'amore e il rispetto per gli altri».
Cosa porta in famiglia del suo lavoro?
«A volte penso che senza il mio lavoro potrei essere una persona negativa invece il mio lavoro mi gratifica, mi riempie (mi svuota anche per la stanchezza fisica), ma sicuramente la restituzione che questo mi dà in famiglia è una rinnovata forza d'animo».
Qual è stato il momento più difficile?
«Credo quando ho avuto meno carico di lavoro, lavori che non mi davano troppa soddisfazione».
Quale quello più emozionante?
«Mi emoziono in maniera molto semplice e così accade che l'emozione diventa parte di me ogni volta che mi sento utile per gli altri e cerco di non farlo pesare mai a nessuno».
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Un film, una canzone, un capo di abbigliamento.
«Mi piacciono i film che comunicano bellezza, non solo attraverso le immagini ma anche attraverso i contenuti; le canzoni che amo di più sono quelle che raccontano l'amore profondo, i sentimenti veri, quelle che hanno testi intensi, poetici; il capo di abbigliamento che amo di più è la mia divisa ma quando sono a casa e non la indosso l'abbigliamento che uso è semplice. In fondo io sono una persona semplice».